Marija Gimbutas Archives - Il Canto di Estia di Marisa Raggio

Tra gli Etruschi sulle tracce della Dea

Tra gli Etruschi sulle tracce della Dea

Questo titolo rappresenta è un po’ il succo della breve spedizione che mi ha condotto in territorio etrusco.                                                                                                                   

Già, perché gli Etruschi sono diventati per me, da un po’ di tempo, una sorta di “fissazione”.
Mi sono così ritrovata ad “unire i puntini” fra il pensiero d Marija Gimbutas, la lettura delle commedie di Plauto, commediografo della antica Roma, e alcuni fra i più noti miti ellenistici.
Secondo Marija Gimbutas (qui semplifico per motivi di spazio), nella Europa neolitica, esisteva una società agricola, sostanzialmente egualitaria, focalizzata sul culto della Dea, dove le donne occupavano posizioni di pari dignità rispetto agli uomini. Nell’arco di tremila anni, le ripetute invasioni indoeuropee ne cancellarono le tracce , imponendo un modello androcentrico che sostituì la Dea con il culto di divinità maschili guerriere, creando una società fortemente gerarchizzata in cui la donna era considerata “inferiore”, proprietà dell’uomo e relegata al ruolo di serva, fattrice e oggetto sessuale. Da allora le cose non sono molto migliorate.
Mi piace però pensare che attraverso i millenni, la Dea  cacciata dalla porta, abbia sempre trovato il modo di rientrare dalla finestra, sotto molteplici camuffamenti.
L’arte e i miti, se valutati attentamente, ci segnalano tracce della sopravvivenza del suo culto e di conseguenza sporadiche realtà che fanno pensare ad una maggiore considerazione della donna.

Studiando Plauto nei tempi ahimè remoti dell’università, mi aveva colpito che fra le tante “grasse“ battute che infarcivano le sue commedie si facesse più volte riferimento alle donne etrusche come femmine lascive, ben lontane al modello della pudica e sottomessa matrona romana.
Poi negli anni si sono aggiunte tessere al puzzle.
Le origini del popolo etrusco rappresentano uno dei misteri più intriganti della archeologia italiana. Oggi si tende prevalentemente a pensare che si tratti di una popolazione autoctona, sicuramente non di origine indoeuropea. Dunque potrebbe rappresentare una sacca di resistenza, sopravvissuta come un fossile vivente, della antica società pre-patriarcale, in cui la condizione di uomini e donne era sostanzialmente alla pari.
Le testimonianze degli storici romani, sempre pronti a denigrare la libertà delle donne etrusche, e i numerosi affreschi policromi presenti nelle necropoli, sembrano confermarlo. Per greci e latini, una società che riconosceva l’autonomia e la dignità della donna, nonché il suo diritto al piacere e all’erotismo, che non temeva di rappresentare coppie di maschi che banchettavano come coniugi e donne che si davano piacere a vicenda, rappresentava una “mostruosità”.
Ciò però non ha impedito ai romani di assorbire molti elementi della cultura etrusca, fra cui l’Arte della divinazione, che, praticatata da Auguri e Aruspici era infatti chiamata  arte etrusca. Nei secoli successivi, denigrata, svilita, ma mai estinta, la divinazione, sotto diverse forme, è in gran parte retaggio femminile e talvolta di  maschi dai caratteri “effeminati”.

Non pretendo di  entrare in valutazioni archeologiche,   la mia ricerca nasce solo dal mio appassionato desiderio di ritrovare segni della sopravvivenza del culto della Dea e condividere con voi, che evidentemente avete il mio stesso interesse, una serie di riflessioni che ci riportano all’obiettivo di questa ricerca : riconoscere la sacralità del principio femminile presente in ogni donna e in ogni uomo.
Per ora siamo appena partite, lasciandoci sedurre da questi affreschi vivaci, fantasiosi e spesso sorprendentemente “scandalosi” per la mentalità corrente. La ricerca continua…. seguiamo le orme che la Dea ha lasciato nel suo passaggio attraverso i millenni….

Marisa Raggio

 

I FIORI E LE DEE ® Un’intervista a Marisa Raggio

I FIORI E LE DEE ® Un’intervista a Marisa Raggio

D) In che cosa consiste la tua ricerca?

MARISA) Io sono fondamentalmente una floriterapeuta, utilizzo cioè le Essenze Floreali per offrire aiuto e sostegno alle persone che si rivolgono a me.

In prevalenza la mia clientela è composta da donne e ho sempre pensato che condividere le loro storie, i loro dolori, difficoltà ed emozioni sia un grande privilegio.

A differenza dei miei clienti maschi, che non essendo abituati a condividere i contenuti emotivi più intimi spesso faticano ad “esporsi”, le donne amano “raccontarsi”. La loro narrazione spesso è ricca di elementi interessanti ma tende a mutare, spostando il focus ad ogni incontro. Stabilire una gerarchia di Essenze Floreali da proporre, così come aiutarle a fissare degli obiettivi da perseguire, può rivelarsi complicato. La teoria degli Archetipi mi è servita, e mi serve tuttora, da parametro per ordinare questa grande massa di informazioni.

Guardando dentro di me ed osservando le mie clienti, ho realizzato che spesso la nostra realtà, sia interiore che esteriore, viene occultata dal racconto di quello che vorremmo essere ed apparire. Ci sono aspetti e qualità del nostro femminile che giudichiamo prestigiose e quindi ci illudiamo che siano nostre, altre invece, pur governando i nostri comportamenti e le nostre emozioni, non sono ritenute accettabili e perciò vengono nascoste.

La domanda di fondo di tutta la mia ricerca è: CHI SONO VERAMENTE?

 

D) Quando hai iniziato la tua ricerca?

Marisa) Già all’università, mentre lavoravo alla mia tesi in antropologia culturale su una popolazione del sud del Cile dove e è tutt’ora diffusa una forma di sciamanesimo femminile. Come in altre società non industrializzate, dunque legate al mondo agricolo, la struttura cosmogonica e la loro concezione del Sacro pone al centro elementi simbolici fortemente collegati al principio femminile.

Molte letture mi hanno permesso di riconoscere quanto la stretta connessione fra la donna, il suo corpo ed i cicli della natura sia stata in passato, come possiamo osservare ancora oggi in alcune popolazioni arcaiche, considerata Sacra.

Questo non smetteva di sorprendermi considerando la svalutazione sociale e religiosa a cui la donna è relegata nelle principali religioni monoteiste e che tuttora persiste nonostante l’emancipazione femminile abbia, specialmente negli ultimi 100 anni, dato vita ad una evidente “rivoluzione”.

Ciò sta avvenendo soprattutto a livello sociale, anche se tanta strada resta ancora da percorrere, ma per quanto riguarda l’aspetto religioso le cose non vanno di pari passo. I roghi della caccia alle streghe in fondo sono ancora tiepidi…

 

D) C’è un episodio cardine che ti ha portato a capire che la tua strada sarebbe stata quella della tua ricerca?

Marisa) Naturalmente non un singolo episodio. Nella mia vita ci sono stati tanti mutamenti: mi sono ritrovata a sentire più volte il bisogno di cambiare lavoro, luogo di residenza, partner.

Ognuna di queste “crisi” mi ha costretta a rivedere l’immagine di me stessa, aggiungendo tessere al puzzle che costituisce la mia personalità.

Con il trascorrere degli anni, ogni “crisi” mi portava a penetrare sempre più in profondità il mio mondo emozionale e quello delle mie clienti.

Mi è così diventato chiaro che le scelte sbagliate nella vita si fanno seguendo non ciò che si è ma quello che si vorrebbe essere.

Mentire a noi stessi è una pratica universalmente diffusa. Riconoscere gli aspetti della auto-narrazione che sono autenticamente nostri, liberandoci da quelli acquisiti o costruiti negli anni come illusoria protezione, è un lavoro che richieda coraggio e cuore pulito, ma può condurci a grandi sorprese, alcune spiacevoli altre gratificanti, tutte comunque estremamente illuminanti.

A livello personale, si è trattato di un lavoro impegnativo, a tratti doloroso, che però mi ha regalato una sensazione di espansione, freschezza e gioia come mai nella mia vita. Tale esperienza ritengo possa essere preziosa per ogni donna.

 

D) Che formazione hai seguito?

Marisa) Sono laureata in Lettere Moderne all’Università di Genova con indirizzo in Etnologia. La mia tesi di laurea, relatrice la grande etnologa Ernesta Cerulli, riguardava i Mapuche, una popolazione indigena del Cile, in cui è diffusa la figura della “Machi”, una donna che svolge nella comunità funzioni di guaritrice ed è spesso riconosciuta come “sciamana”, colei che collegando il mondo degli spiriti con quello degli uomini, si rende artefice di una guarigione che non è solo fisica, ma soprattutto spirituale.

In seguito, scoprendo il pensiero di Edward Bach e la Floriterapia ho frequentato i corsi di Margaretha Mijnlieff, una delle pioniere di questa disciplina nel nostro paese. La mia attività di Floriterapeuta è iniziata concretamente a Milano nel 1995.

Anni dopo ho frequentato una formazione di counseling che si è rivelata utile sia nella pratica floriterapica che in quella didattica. Infatti, dalla sua fondazione, nel 2002, sono docente della Scuola dell’Unione di Floriterapia di Milano.

 

D) Quali autori e ricercatori hanno influenzato la tua ricerca?

Marisa) E’ difficile ricostruire la genesi delle mie ricerche perché essendo stata una lettrice compulsiva da sempre, ho letto tantissimo materiale. Posso ricordare però che il primo approccio al pensiero Junghiano è stato con un libro di James Hillman letto nel 1998: “Il Puer Aeternus” (edizioni Adelphi), testo fondamentale sulla Teoria degli Archetipi.

Successivamente ho provato ad accostarmi all’enorme lavoro di C.G.Jung, in particolare alla sua identificazione del concetto di Anima e Animus; fondamentale per me è stata la lettura del suo libro “L’uomo e i suoi Simboli”.

Seguendo questa strada, ho scoperto un filone d’oro rappresentato dalle grandi allieve di Jung. – Maria Louise Von Franz ed M. E. Harding – che mi hanno accompagnato verso una progressiva comprensione di quello che resta un concetto complicatissimo: l’Archetipo junghiano.

Assolutamente illuminante furono le poche parole che Jung scrive nel1932, per l’introduzione al libro della Harding, La Strada della Donna(ed Astrolabio):

I concetti biologici e sociali possono esprimere soltanto una metà dell’anima femminile. Invece in questo libro diviene chiaro che la donna possiede anche una peculiare spiritualità del tutto sconosciuta all’uomo”

Queste tre righe da sole possono rappresentare la mia intera ricerca sul Femminile.

Anche Erich Neumann ha ispirato moltissimo la mia ricerca con il suo testo fondamentale “La Grande Madre” (ed. Astrolabio). Un libro estremamente innovativo che si impegna ad evidenziare la struttura e lo sviluppo dell’archetipo del femminile nelle sue manifestazioni concrete nel mondo.

Solo alcuni anni fa invece ho potuto conoscere la figura, le opere e le scoperte dell’archeologa Marija Gimbutas, fondatrice dell’Archeomitologia (Marija Gimbutas, Il Linguaggio della Dea, Ed Venexiana). Il suo lavoro è stato enorme sia in termini di quantità che di importanza, dunque difficile da riassumere qui in poche parole. Basti pensare alla sua ipotesi, solo negli ultimi tempi riconosciuta a malincuore dal mondo accademico, secondo la quale nell’Europa antica, dal tardo paleolitico al neolitico, fino all’età del bronzo, esistevano società agricole, sostanzialmente egualitarie e pacifiche che ponevano al centro della loro concezione del sacro una divinità femminile: la Dea.

Tali società furono, nell’arco di alcuni millenni, totalmente cancellate dalle invasioni di popoli indo-europei che imposero una struttura sociale e religiosa androcentrica. La grande quantità di reperti trovata da questa archeologia e l’attenta catalogazione di essi, rappresenta una importante conferma della presenza del Sacro Femminile nell’Europa antica. Tale scoperta ribalta il punto di vista da cui possiamo osservare la storia dell’umanità, focalizzandoci sull’insieme di valori sacri, intellettuali e corporei femminili che per millenni sono stati disprezzati ed esclusi dalla concezione del Divino, nonché da ogni forma di culto. La perdita del Sacro Femminile, ha impedito all’uomo di sperimentare adeguatamente una parte importante della sua dimensione emotiva e psichica, nel timore di essere poco virile, quindi inferiore. Siamo di fronte ad una revisione della storia dell’umanità che restituisce a tutti noi, donne e uomini, ciò che era andato perduto.

Un vero piacere è stata anche la lettura del fortunato libro di Jane Shinoda Bolen – Le Dee dentro la Donna (edizione Astrolabio) che semplifica e rende accessibile a tutte noi i modelli archetipici potentemente rappresentati dalle divinità della mitologia ellenistica

Ben più significativo per me è stato un altro libro della Bolen, non facilmente reperibile in questo momento – Passaggio ad Avalon (edizioni Piemme) – dove l’autrice narra la propria personale esperienza verso il riconoscimento della Dea.

Tra i sistemi floreali più diffusi attualmente, partendo da quelli del maestro Edward Bach, ho approfondito ed utilizzato con le mie clienti, le essenze floreali scoperte da Patricia Kaminski in collaborazione con il marito Richard Katz. Se il fiore rappresentativo del femminile scoperto dal dottor Bach è perfettamente espresso nell’essenza floreale Chicory, Patricia Kaminski, con la sua ricerca, ha trovato una serie di Fiori che vanno ad agire proprio sui diverse aspetti fisici ed emotivi delle donne, nonché degli aspetti femminili presenti in ogni uomo. Alcune di queste essenze, non a caso, sono delle bulbose. L’associazione analogica fra queste piante e l’utero femminile è evidente, così come quella fra un’essenza fondamentale Pomgranate (melograno) che nell’iconografia cristiana è spesso accostata alla Vergine Maria. Anche l’arte antica, dal mondo etrusco, a quello greco romano, fino al Rinascimento abbina questo frutto alla figura femminile. Abbiamo un monumento funebre etrusco in cui è rappresentata una nobildonna che tiene nella mano una melagrana. Un mito fondamentale come quello del ratto di Persefone cita i suoi semi, mentre visitando Ferrara, in un solo pomeriggio mi sono imbattuta in un affresco di Francesco Cossa che ritrae il trionfo di Venere in un carro decorato da melograne e più tardi nella commovente Madonna della melagrana di Jacopo della Quercia.

 

D ) Che differenza c’è fra la tua ricerca sugli Archetipi Femminili e le Dee rispetto alle proposte del panorama italiano?

Marisa) Da quanto ho raccontato fino a qui, mi sembra chiaro che il mio impegno non nasce da una infatuazione passeggera, legata ad un tema affascinante e molto di moda.

Ritengo che la mia ricerca possa rappresentare una novità in quanto è la prima volta in cui gli Archetipi vengono utilizzati nella pratica del colloquio di Floriterapia.

Personalmente propongo uno strumento che utilizzo da anni concretamente nella mia attività di Floriterapeuta.

Assumendo le Essenze Floreali, permettiamo loro di iniziare un dialogo con parti di noi sofferenti, maltrattate, ignorate, trasformandole dolcemente da zavorra a risorse utili nelle sfide della vita di tutti i giorni.

La lettura della narrazione della cliente in chiave di Archetipi  contribuisce a chiarire aspetti spesso taciuti perché imbarazzanti o troppo dolorosi, di conseguenza a migliorare l’autoconsapevolezza, facilitando il compito della Floriterapeuta.

Oggi esiste anche un marchio che riassume la mia ricerca : I FIORI E LE DEE® che vuole rappresentare questo tipo di lavoro.

Ci tengo a precisare anche che al di fuori del mondo della Floriterapia, oggi in Italia, ci sono alcune serie e brillanti ricercatrici che, ognuna con la propria originalità e sempre con grande impegno e passione, diffondono il Nome della Dea.

 

D) In cosa consiste il progetto “Il Labirinto delle 7 Dee”?

Marisa) “Il Labirinto delle 7 Dee” è un progetto che aiuta a diffondere la ricerca I Fiori e le Dee ®.

Il labirinto è un simbolo antichissimo che rappresenta la ricerca del proprio Sè superiore. In questo caso lo utilizzo per esprimere un cammino alla ricerca di pezzi di noi  che abbiamo trascurato e nascosto a vantaggio di altri divenuti  ipertrofici. Ma ogni donna, per stare bene, ha bisogno di tutte le parti che la compongono, impegnandosi sempre a farle funzionare in armonia. Io la chiamo “La Danza degli Archetipi” grazie alla quale possiamo permettere che queste parti dentro di noi convivano con grazia, agendo in alternanza, senza che mai una domini le altre.

Fra tutte le rappresentazioni archetipiche dell’Inconscio collettivo  ho scelto di utilizzare quelle del mondo classico che agiscono potentemente in quanto profondamente radicate nella nostra cultura. Sono le Dee che abbiamo superficialmente incontrato sui banchi di scuola, al cinema, nei libri, dunque sono figure un po’ famigliari.

Quando durante il workshop il mito viene narrato, approfondendo con cura la portata simbolica di ciascuna Dea presentata,  la donna, a prescindere dalla sua formazione scolastica, riconosce immediatamente elementi che la riguardano. La Dea non le è estranea, le ricorda la madre, la sorella, la figlia o la rivale. Più difficile riconoscere che in realtà rappresenta proprio un aspetto che le appartiene. Perché ciò avvenga è utile il confronto con altre donne, sotto la supervisione di chi ha il compito di condurre il gruppo, facilitando la comunicazione.

Ci tengo infine a sottolineare come in questa mia proposta di lavoro resti fondamentale la sapienza dei Fiori: guida e sostegno per quei momenti di paura, confusione, scoraggiamento, smarrimento che costellano il nostro cammino, in questa vita.

Alla fine sempre: grazie Dottor Bach!

L’Elemento Acqua: qualche riflessione

L’Elemento Acqua: qualche riflessione

Il collegamento fra Acqua e Archetipo Femminile apparirà a molte di voi immediato e intuitivo. Proviamo un momento a pensarci: la donna secerne molti più liquidi del maschio: latte, sangue mestruale, liquido amniotico; alle donne è culturalmente permesso “versare” lacrime, una fanciulla in lacrime è socialmente accettabile, un giovane uomo che piange crea imbarazzo negli altri e spesso è costretto a vergognarsene.

Le donne tendono a trattenere i liquidi più degli uomini, “non è che mangio tanto” si giustifica la signora a cui viene consigliato di perdere peso,” trattengo i liquidi..” ed infatti nei giorni precedenti al ciclo mestruale in molte abbiamo notato un aumento di peso che tende a sparire quando termina il flusso.

Fra i tanti simboli che collegano l’elemento acqua e il Femminile troviamo l’Uovo, utero contenitore di liquidi e vita, che dall’antichità accompagna le rappresentazioni del divino femminile un po’ in tutte le culture.

Celebre è la cosiddetta “Madonna dell’uovo” o Pala di Montefeltre” di Piero della Francesca. Osservando il capolavoro vediamo che la Vergine Maria con il Bambino in grembo è posta sotto una cupola a forma di conchiglia, al centro della quale è appeso un grande uovo. Anche la conchiglia come il ciondolo di corallo appeso al collo di Gesù sono immagini legate al mare e all’elemento acquatico. Nella iconografia cristiana ricorre spesso l’Uovo accostato alla Vergine e al Sacro Bambino, in quanto simbolo non solo di vita, ma soprattutto di rinascita.

Salvador Dalì ripropone il simbolismo dell’uovo, accompagnato alla conchiglia-mare, in due opere fortemente influenzate dal capolavoro di Piero della Francesca: la “Madonna di Port Lligat” (1950) ” e “Leda Atomica” (1949). Non va dimenticato che Leda è la protagonista di un importante Mito, tre le tante versioni, il più diffuso è quello cui si narra che Zeus possedesse Leda, regina di Sparta, assumendo le sembianze di un bellissimo cigno (animale che vive nell’acqua). In seguito all’accoppiamento con il signore dell’Olimpo, Leda depose un uovo da cui nacquero i gemelli Castore e Polluce.

L’Elemento Acqua qualche riflessione 1

Avrete notato come nella maggioranza delle chiese cattoliche l’acquasantiera abbia forma di conchiglia, simbolo primordiale che insieme alla mandorla è sopravvissuto fino a diventare fra gli elementi decorativi più utilizzati: il Femminile svalutato dalle tradizioni religiose monoteiste esce dalla porta, ma, come si suol dire, rientra dalla finestra.

L’Elemento Acqua qualche riflessione 2

A questo proposito sentiamo il parere più autorevole, quello della archeologa Marija Gimbutas, fondatrice dell’Archeomitologia:

“La credenza nella sacralità dell’acqua che dà la vita presso le sorgenti dei fiumi, delle fonti e dei pozzi, si estende dalla preistoria fino questo secolo. Sentiamo ancora parlare dell’acqua di Vita che trasmette forza, guarisce chi è malato, ringiovanisce chi è vecchio, ridona la vista e ricompone corpi smembrati e li riporta in vita. Il culto dei pozzi delle fonti termali, specialmente se alla sorgente di grandi correnti d’acqua e di fiumi, non può essere separato dal culto della Dea singola o tripla, dispensatrice di vita. Le fonti storiche, greche, romane, celtiche baltiche, parlano continuamente di Dee e ninfe connesse a certi fiumi, fonti e pozzi. Spesso i fiumi hanno nomi di Dea e le Dee locali hanno nomi di fiume….

… Le Dee datrici-di- vita conosciute grazie alle memorie del folklore, come l’irlandese Brigitte e la baltica Laima, sono le signore dei pozzi fonte di vita. Presumo che questa associazione sia esistita fin dal paleolitico, quando i santuari erano collocati presso fonti e acque minerali”(da: M. Gimbutas, “Il linguaggio della Dea”, ed. Venexia.)

Per noi che utilizziamo e studiamo le Essenze Floreali, diventa inevitabile collegare il sacro Uovo-Utero ai bulbi delle piante.

( Continua…)

Articolo pubblicato sulla Newsletters della Unione di Floriterapia di Milano

Le due immagini dei capolavori Di Piero Della Francesca e di Salvador Dalì , sono tratte dal bel sito www.settemuse.it

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