Riflessioni Archives - Il Canto di Estia di Marisa Raggio

Il Mito: una chiave di lettura dell’orrore quotidiano

Il Mito: una chiave di lettura dell’orrore quotidiano

“ Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”   Fabrizio De André

Scrivo questa riflessione soprattutto per superare lo shock, personale e collettivo, di quanto avvenuto alla piccola Elena vittima dalla madre: la morte di un innocente, per mano di chi dovrebbe più di chiunque altro proteggerlo, ci lascia sempre devastati.
E ancora una volta mi rivolgo al Mito per cercare di almeno di capire se non comprendere, andando oltre una informazione mediatica che talvolta sfiora il voyeurismo morboso.

Il quesito che ci possiamo porre é: esiste una sindrome di Medea?
E il pensiero corre proprio compagna di Giasone. Nella loro vicenda la polarità della coppia appare evidente: lui l’Eroe luminoso, amato e celebrato e lei, la maga oscura, che in una escalation di ferocia arriva a commettere il crimine più orrendo, l’uccisione dei propri figli, per vendicarsi del compagno bugiardo e fedifrago.
Secondo il modello patriarcale, Medea doveva suscitare esclusivamente orrore, incarnando la “summa” di quella malvagità femminile rappresentata in modo inquietante nella tragedia di Euripide: una rappresentazione archetipica  così potente ed umana da ispirare da sempre il mondo dell’Arte.
Si dibatte, soprattutto in tempi recenti, su chi fosse in realtà la compagna di Giasone, poiché come avviene nei miti, le versioni tramandate sono contraddittorie.
Medea è una vittima della misoginia e xenofobia dei Greci che “inventano” il Mostro, o una donna di eccezionale temperamento che, colpita dalla freccia di Cupido (ancora una volta colpa di Afrodite), sviluppa una “ossessione amorosa” in nome della quale commette una serie di orrendi crimini?
Prendiamo in considerazione la seconda versione che ci viene tramandata: quella di una  Medea tenebrosa, dilaniata dal dolore e il desiderio di vendetta, così come ce la presenta Euripide.
Il primo crimine a cui assistiamo è quello nei riguardi della famiglia di origine: l’uccisione e lo smembramento del fratello per coprire la fuga con l’amato. In seguito i suoi delitti costellano la trama spietata che lei ordisce utilizzando sofisticate arti magiche, mettendosi sempre al servizio dell’adorato Giasone.
Fin qui tutte nefandezze che sembrano non creare troppo scalpore nelle antiche narrazioni: che ci si poteva aspettare da una barbara e non è forse compito di ogni brava moglie sostenere la carriera del marito?
Le cose si complicano quando il celebrato Eroe, dimostra la propria ingratitudine ripudiando la compagna ormai scomoda per una nuova giovane moglie, più “conveniente socialmente : storia peraltro sempre attuale…
Medea cacciata dalla sua terra di adozione, quella che ormai considerava la sua “casa”, dirotta tutta la propria feroce determinazione, fino a quel momento incanalata nel servizio al proprio idolo, in una vendetta terribile che avrà come culmine il sommo crimine: l’uccisione dei figli del traditore, i propri stessi figli.
La sua furia vendicativa è inarrestabile e tutto travolge. Arrivando ad uccidere i suoi stessi bambini, Medea compie un gesto che rappresenta l’annichilimento di se stessa come donna, madre, persona.
Siamo di fronte a una  storia  tragica che purtroppo tende periodicamente a riproporsi quando il disagio emotivo, per pregiudizio, ignoranza, disinteresse, viene ignorato, nonostante i segnali di pericolo siano, come nel caso specifico di Elena, particolarmente evidenti.
E dunque il crimine per eccellenza, il figlicidio, non può essere espiato esclusivamente con la punizione della “cattiva madre”, perché anche il fungo più velenoso nasce da da un humus condiviso.
Questa consapevolezza non ci deve portare a puntare il dito sui vari attori delle vicenda, quanto piuttosto a capire i meccanismi che mettono in moto la” macchina della tragedia”, affinché questa tenda a non ripetersi.

Marisa Raggio

Appendice:
Da una intervista di Laura Cuppini allo psichiatra Claudio Mencacci , Corriere della Sera, 14-6-22

A posteriori, questa tragedia si sarebbe potuta evitare?
«Dalla bambina possono essere arrivati segnali di malessere, evidentemente non colti. Martina Patti avrebbe dovuto curare il proprio discontrollo della rabbia, ma in primo luogo penso che sarebbe stato necessario un intervento sociale per rompere l’isolamento della donna, unito forse a difficoltà economiche, povertà anche culturale, ambiente familiare instabile e, senza dubbio, la giovane età».

Aranna tradita o traditrice?

Aranna tradita o traditrice?

In questa serie di incontri, le eroine di cui ci occupiamo non sono Emma Bovary, Anna Karenina o le altre grandi figure femminili della letteratura di cui possiamo le vicende in modo lineare, appassionandoci ad una protagonista che, pur sorprendendoci con colpi di scena, resta in qualche modo fedele al ritratto che ne fa lo scrittore.
Queste sono Figure che arrivano da molto lontano attraversando il secolare percorso della elaborazione mitica. Di loro quindi non possiamo aspettarci una rappresentazione che segua un unico filo narrativo.
Il Mito non funziona così: qui le narrazioni della stessa storia sono molteplici, talvolta in contraddizione fra loro, sia nei tratti dei personaggi che assumono attributi diversi, anche in contraddizione fra loro, sia nella ambientazione geografica che talvolta varia notevolmente, lasciandoci disorientati.

Per la mia esperienza questo è vero soprattutto per la figura di Arianna.

I Miti che la riguardano sono tantissimi. In alcuni compare come comprimaria, collegata ad altre figure mitiche, offrendoci una Arianna diversa da quella che credevamo di conoscere.

Inseguendo Arianna posso davvero dire che ho rischiato di perdermi in un labirinto di vicende e significati che, sono convinta, non mi basterebbe un’altra vita per scovare e comprendere.

Tuttavia non è questa la strada che voglio percorrere: in questa mia ricerca i miti greci sono essenzialmente uno strumento per evocare qualcosa che è presente e sommerso in ognuno di noi.
Per questa ragione, fra le tante versioni, ogni volta scelgo di raccontarvi la storia che maggiormente ho sentito risuonare nel mio mondo emozionale, in quello delle mie clienti e in misura diversa in ogni donna che ho veramente “incontrato” sul mio cammino.

Dunque questa è la mia storia di Arianna: vi propongo di accantonare per un po’ la vostra parte logico analitica ed abbandonarvi all’ascolto, proprio come facevamo da piccole.
Se la narrazione evocherà qualche cosa la serberemo, il resto lasciamo che scivoli via.

Un nuovo ciclo di incontri dedicati al Principio Femminile

Spunti di riflessione e soprattutto momenti di ispirazioni riguardo alla nostra struttura emozionale, personale e collettiva. 

Per comprendere meglio come il Femminile  si è adattato alle vicende del mondo attraverso secoli, anzi millenni, nonostante il tentativi di svalutarlo e negarlo

DONNE E SEMPLIFICAZIONI

DONNE E SEMPLIFICAZIONI

Per le donne semplificazione in genere significa scegliere la strada che ci indica l’ordinamento patriarcale.
In diversa misura l’abbiamo fatto tutte prima o poi. Abbiamo ceduto e accettato quanto ci veniva indicato, l’abbiamo fatto per paura, per pigrizia o per timore di non essere più amate.
Io l’ho fatto spesso. Quando mi trovavo a scegliere una strada, troppe volte ho scelto quella in discesa, solo in apparenza la più comoda.
In realtà scegliere la semplificazione, ovvero percorrere sentieri troppo calpestati e comunemente approvati può rivelarsi durissimo, un percorso irto di difficoltà e che ci conduce a rinunciare ai nostri progetti, perdendo via via la fiducia in noi stesse.
Dunque per le donne spesso la semplificazione ha un costo altissimo.

D’altra parte, non mentiamoci, scegliere vie alternative, poco note e scarsamente approvate ha un spesso un costo altrettanto alto.
Imboccare strade nuove o talvolta così antiche da essere state dimenticate da tanto, tanto tempo, ci proietta in una esistenza in cui grandi gratificazioni si alternano ad altrettanto grandi frustrazioni.
Sei sei una donna, qualsiasi strada sceglierai sarà sempre e comunque complicata, costellata di trappole, pericoli e meravigliose scoperte.
Nella mia esperienza quello che ho imparato a temere non è la scelta del percorso, ma piuttosto il procedere ad occhi chiusi, senza vedere dove metto i piedi e senza capire in che direzione sto andando.
Marisa Raggio

Uomini e intuito femminile. Più una facezia che una riflessione.

Uomini e intuito femminile. Più una facezia che una riflessione.

Secondo voi che cosa è il famoso intuito femminile?
Se ne fa un grande parlare e tutti ce lo riconoscono. Sì, insomma, noi non saremmo proprio..proprio intelligenti come i maschi e quando ci azzecchiamo è grazie al solito “intuito femminile”.
Ma i maschi davvero non lo hanno questo benedetto optional?
Se per intuito femminile intendiamo, chiamatelo un po’ come volete, il sesto senso, la sensibilità, l’attività dell’emisfero destro del cervello, l’Anima (intesa nella accezione junghiana), beh, queste cose le abbiamo tutti, uomini e donne, solo che ai maschi è stato insegnato da qualche millennio che quella roba lì è merce scadente e dunque l’hanno lasciata a noi femmine che la custodiamo, ne facciamo largo uso.
Peccato però, perché quando i maschi si lasciano guidare dalla loro Anima, dalla loro parte femminile, grandi cose accadono.
Ad esempio smettono di farsi la guerra e creano opere d’arte, oppure può succedere che si sacrifichino per difendere i più deboli, si impegnino in cause antieconomiche e obsolete come la difesa della natura, della bellezza e ciò tutte quelle sciocchezze che rendono dolce la vita.
Insomma quando i maschi permettono alla loro Anima di ispirarli, superando tabù e pregiudizi androcentrici, possono diventare veramente Grandi Uomini. Del resto Dante quando è stato il momento di arrivare al Top, in Paradiso, si è fatto guidare-ispirare da Beatrice.

Chiudo con un aforisma di cui non conosco l’autore, ma che mi fa sempre molto sorridere:
“L’intuito femminile è quello strano istinto che dice a una donna che ha ragione. Sia che ce l’abbia o no.”
Marisa Raggio

I Fiori e le Dee

 

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE       (PARTE SECONDA)

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE (PARTE SECONDA)

IL VERDETTO

“Quando una corte di giustizia delibera in merito all’educazione di un bambino, il benessere del bambino stesso deve essere considerato come prevalente e prioritario”, articolo fondamentale del Children Act (che dà il titolo originale al film), introdotto nella legislazione inglese nel 1989.

Se in “The Wife”, abbiamo visto un modello femminile apparentemente passivo, in questo film, tratto dal romanzo di Ian McEwan, ci troviamo di fronte ad una donna molto diversa.

Fiona Maye, è una persona importante: giudice della “Supreme Court of the United Kingdom”, si occupa principalmente dei casi più delicati di diritto familiare.

La sua carica ha un grande rilievo nel Regno Unito, infatti è assegnata a soltanto dodici giudici, attraverso una lunga e complessa procedura: il nome del candidato deve essere proposto al Lord Chancellor, se è accettato, passa al vaglio del primo ministro e infine, viene presentato alla Regina in persona, per la nomina finale.

Dunque la nostra eroina è una donna “tutta di un pezzo”, di doti morali e intellettuali largamente riconosciute, anche in un ambiente terribilmente maschilista ed elittario come quello in cui si muove.

Questo ci fa pensare che Fiona abbia dovuto faticare il doppio di qualsiasi collega uomo per raggiungere una posizione professionale così rilevante.

Ogni altro aspetto della sua vita è azzerato, fagocitato dall’impegno professionale, si salva solo la musica, una passione che continua a coltivare con puntiglioso impegno.

Il suo matrimonio vacilla, la vediamo alle prese con un marito dotato di una devozione “fantascientifica”, ferito dalla lontananza affettiva della moglie. Insomma la solita storia, ma al contrario.

Il film, affronta molti temi delicati e complessi, come il conflitto fra legge ed etica, fede e amore, aprendo anche una finestra sulla difficoltà adolescenziale di costruire una propria identità cercando di trovare riferimenti adeguati.

E tuttavia la figura della protagonista che qui ci interessa.

Il Giudice May, “My Lady”, come l’etichetta impone di chiamarla, impegnata in una causa complessa, attraverso l’incontro con un affascinante adolescente gravemente malato, si trova a dovere sciogliere dei nodi che da troppo tempo aveva accantonato. Da un lato ci viene descritta secondo lo stereotipo maschile della donna che deve rinunciare ai suoi attributi femminili: maternità e famiglia, in favore di una mascolinizzazione, per raggiungere professionalmente la vetta.

Questa visione manichea all’inizio può apparire irritante, ma la potenza espressiva di Emma Thompson ci regala l’immagine di una donna ricca di sfaccettature, una figura dolente, a tratti tragica, alla quale il mondo degli uomini ha richiesto di camuffare alcuni aspetti del proprio femminile.

Noi vediamo Fiona sempre in divisa, ogni giorno corazzata nel suo tailleur rigorosamente nero, oppure, con tanto di parrucca e cappa bordata di ermellino nello svolgimento del proprio solenne incarico. Persino quando indossa abiti da “occasione”, sembra non togliersi mai elmo e corazza.

Schierata in difesa delle legge, delle norme della costituzione, dell’ordine contrapposto al caos, della razionalità rispetto alla passione, del bene collettivo, contrapposto a quello del singolo individuo, il giudice Fiona May è una Atena perfetta.

Ci insegna James Hillman*, che Atena è la protettrice dell’ordine civico, paladina del mito del progresso, della civiltà occidentale, dotata dell’abilità di risolvere problemi intricati. Sostenitrice della civile moderazione, esalta la perspicacia del giudizio, il prevalere dell’autocontrollo sull’azione impulsiva.

“Tutte qualità che costituiscono l’intima essenza della mente strategica… possiamo dire che Atena esercitava il potere in modo strategico senza ricorrere semplicemente alla coercizione.” **

La donna dominata dalla rappresentazione archetipica di Atena è sovente, proprio come Fiona, una donna da ammirare, stimare, ma non sempre da amare. Portatrice di una qualità emotiva rigida, costringe sé stessa a celare le proprie emozioni e spesso le qualità più belle della sua anima.

Si tratta di una modalità di comportamento che rischia di essere più utile alla comunità che alle persone affettivamente vicine, ed è pericolosa, perché lo sforzo che questa donna richiede a se stessa è altissimo. Tutto ciò la rende talvolta incapace di comprendere la fragilità altrui e rispettare i propri limiti.

“L’immagine di Atena, con l’elmo e la corazza, ci riporta all’iniziale riferimento a Freud. Il piccolo sintomo, così estraneo alla visione normativa dell’Io, è la crepa nella struttura che fai incrinare tutte le nostre immagini normative di come dovremmo essere… E’ la falla fatale, appunto il Fato, Necessità, che afferra la nostra anima a dispetto di tutti gli scudi che la previdenza è pronta a impugnare contro di lei.” ***

In poche righe, James Hillman sintetizza la storia di Fiona-Atena, anticipando la conclusione della vicenda.

Il sintomo, il disturbo fuori luogo, non pianificato, in questo caso l’incontro con il ragazzo infermo, irrompe nella sua vita con una valenza dolorosamente salvifica.

La tragedia è terribile, ma la corazza si è finalmente incrinata, ora Atena è libera di soffrire, di piangere e soprattutto di “sentire” il proprio dolore e dunque condividerlo con chi ha al suo fianco.

Potremmo essere di fronte ad un autentico processo di integrazione, Fiona ora ha visto in sé le qualità morbide ed istintive che rinnegava, pur inconsapevolmente continuando a nutrirla con il suo pianoforte. Adeso, con questa parte riscoperta, potrebbe riequilibrare gli aspetti più rigidi e normativi del proprio carattere. Fiona forse non sarà più costretta a scegliere fra la mente e il cuore.

Conclusione

Due donne, Joan e Fiona, apparentemente opposte, che sono accomunate da uno stesso dramma: il sacrificio della propria essenza sull’altare dei valori patriarcali; per Era l’istituzione matrimoniale e la famiglia, per Atena, l’Ordine Costituito e la Norma.

Le loro storie possono insegnarci che quanto assorbiamo come modello inevitabile, in realtà non lo è affatto!

Noi possiamo sempre cercare un’altra strada che è quella di accogliere la totalità di noi stesse, senza privarci di parti che ci insegnano a disprezzare, ma che spesso sono proprio le nostre più grandi risorse.

Un abbraccio circolare. Che Estia sia con voi.

Marisa Raggio

I Fiori e le Dee

 

Note:

* Figure del mito, pag. 63, Adelphi Edizioni

**Ibidem

***Ibidem

 

 

 

 

 

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE            (Parte prima)

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE (Parte prima)

Evviva il Cinema!

Due film, due gigantesche attrici, in questo momento la fanno da padrone nelle sale cinematografiche.

“The Wife”, con una Glen Close lanciata verso l’Oscar, e “Il Verdetto, the children act”, interpretato da Emma Thomson, in uno dei ruoli più importanti della sua magnifica carriera.

(Di seguito riferimenti alle vicende narrate dalle due pellicole e quindi anticipazioni di eventuali colpi di scena.)

Ci sarebbero tante considerazioni da fare su queste due pellicole ricche di temi complessi, ma qui desidero proporre una lettura in chiave archetipica delle due protagoniste.

Sono sorpresa che proprio in questo momento storico, quando i modelli mediatici ci rimandano a un femminile “evergreen”, perfetto fino all’artificio grottesco, le due mattatrici non solo siano donne, ma pure “mayores” (vecchie), come dicono garbatamente gli spagnoli.

Lo rende evidente la macchina da presa mentre accarezza il viso delle attrici in impietosi quanto amorevoli primi piani che seguono la mappa delle rughe, la piega amara della bocca, la fronte cronicamente corrugata.

Due figure titaniche che rappresentano una ghiotta occasione per svelare l’aspetto archetipico che loro rappresentano.

 

THE WIFE-Vivere nell’ombra

“The Wife”: è la storia di un matrimonio e soprattutto di un segreto faticosamente e dolorosamente celato.

Il film presenta i coniugi Castleman, Joe e Joan, in attesa di una importante comunicazione. Il marito è nervoso, impone alla moglie un triste coito “ perché lui si deve rilassare”, e lei per quanto assonnata, docilmente lo accontenta. Finalmente arriva dalla Svezia la telefonata e loro possono esultare come due ragazzini: Joe ha vinto il premio Nobel per la letteratura, il sogno si è avverato, lui è il più grande scrittore vivente.

Joan però, dietro alla facciata dell’esultanza, è sconvolta, mille ricordi, riflessioni e valutazioni affiorano nella sua mente, riportando a galla il “grande segreto”.

Nella lussuosa frenesia di una Stoccolma che prepara le Celebrazioni per la consegna dei Nobel, Joan si trova a rivivere il passato, quasi che tutto quello sfarzo, l’accoglienza straordinaria loro riservata, renda ancora più scabro il dolore per il suo enorme sacrificio, quel dono che lei ha strappato da sé e offerto al marito.

Joe in realtà non è un genio e neanche un artista, lei, la piccola moglie solerte, è la creatrice delle opere che gli stanno regalando imperitura fama, lui non è che un uomo comune, a cui la sposa ha consegnato scettro e corona.

Il velo si squarcia, da lì in avanti la situazione precipita, anche in modo imprevedibile, ma nessuno si salva, la verità, se mai sarà svelata, e in questo il regista lascia il finale aperto, comunque giunge troppo tardi.

Già il titolo ci dice che si sta raccontando la storia di una moglie, anzi, la Moglie, che vive una quotidianità confortevole e agiata, come il marito le rifaccia durante un alterco. Joan però non sembra mai compiaciuta di tanta abbondanza, piuttosto appare impegnata instancabilmente nell’onorare l’unico culto a cui ha immolato quaranta anni di vita: il Matrimonio Perfetto.

E’ qui inevitabile l’accostamento con la divinità greca Era, moglie del sommo Zeus, sovrano di dei e uomini, dunque lei stesa regina. Il Mito, ce la descrive potente e regale, dea “dai cento occhi” che utilizza per tenere sotto controllo un marito farfallone. Molto onorata nel mondo classico, in quanto protettrice dell’istituzione alla base della società civile: il matrimonio, Era è perennemente impegnata nel mantenere il suo ruolo di first lady, alternando ira e arrendevolezza nei riguardi di uno sposo narcisista e infedele.

Quante donne così hanno attraversato la storia e la società moderna all’ombra del loro marito?

“Dietro un grande uomo ecc…” una frase che mi ha sempre fatto rabbrividire, stimolando una domanda: quali rinunce, umiliazioni, bugie, quanti compromessi dietro a queste grandi donne che scelgono di stare dietro a tali presunti grandi uomini?

Qui sta il nodo della vicenda: Joan aveva creduto di potersi sottoporre a qualsiasi sacrificio, onere, segreto, pur di mantenere l’immago del matrimonio perfetto. Disposta anche a ingoiare la sua possessività, cercando di sublimare l’onta del tradimento con un atto creativo che alla fine non le apparterrà neanche, perché lei stessa sceglie di deporre i frutti del suo talento ai piedi del coniuge, assiso sul trono che lei stessa gli ha assegnato.

Joan, così come non riesce a proteggere i parti del proprio genio creativo dall’ingordigia infantile dello sposo, così non riesce a proteggere il figlio, la cui autostima è sistematicamente minata dalla patologica competitività paterna, proprio come Freud insegna.

Anche qui la spinta archetipica moglie-Era supera l’istinto materno e non le permette di opporsi al suo Signore per schierarsi a fianco del figlio che alla fine è sia vittima sacrificale del matrimonio perfetto, sia il tarlo che finirà per scardinare l’allestimento così sapientemente costruito da entrambe i genitori in quaranta anni di vita in comune.

Creare un grande uomo e poi restare nella sua ombra è una scelta approvata, anzi, socialmente consigliata, una scelta fatta di paura, insicurezza, cronica fame di amore, bisogno di accettazione. Una scelta che finisce per avere un costo altissimo. Il prezzo pagato è quello del dolore, della rinuncia continua a essere veramente sé stessa.

Il film sembra suggerire, senza possibilità di riscatto o liberazione, che il patto fatale non si scioglierà neanche con la morte.

A noi resta una domanda: il sacrificio di questa Era contemporanea, è stato dettato dall’amore per il partner o dalla sua ferrea volontà di alimentare quella proiezione che aveva fatto da ragazza sul vanesio insegnante di letteratura?

Pur di essere la moglie del grande uomo, forse Joan ha posto il suo professorucolo su un piedistallo che lei stessa ha costruito, pezzo per pezzo, pagina dopo pagina.

Dunque non solo Dea officiante del Matrimonio, ma anche piccola donna fragile che non ha avuto il coraggio di essere padrona di sé stessa, lottando per affermare nel mondo la propria vocazione. Certe volte, restare dietro le quinte, può essere deprimente, ma anche infinitamente più rassicurante, soprattutto per le donne che da millenni si sentono ripetere che valgono poco, troppo poco. (Continua)

Marisa Raggio     I Fiori e le Dee

 

il Sacro Femminile e il diritto alla Gioia

il Sacro Femminile e il diritto alla Gioia

Penso che il fine ultimo di questa ricerca e di questo “impegno” che condivido con diverse donne, sia quello di “guarire noi stessi” citando Edward Bach.

Personalmente da lì sono sempre partita, sia con i Fiori, che con il mio lavoro sul Femminile: se non mi fossi sentita ammaccata e ferita, probabilmente non avrei neanche iniziato…

Gli approcci possono variare, gli strumenti anche, ma il fine vero è quello della guarigione di noi stesse.

Perseguire tale obiettivo, non è, come ci hanno sempre insegnato, una manifestazione di egoismo, ma piuttosto, la affermazione di un diritto: il diritto alla Gioia.

Questo significa sviluppare un’inevitabile attenzione al proprio “sentire”, imparando ad ascoltarci, anche quando quello che ci arriva è imbarazzante e doloroso. Certamente la guarigione è un traguardo che richiede sforzo, perseveranza e impegno, ma forse abbiamo un’altra scelta?

“Guarire”, è qui inteso nel senso più ampio, non solo di guarigione fisica individuale, ma anche emozionale, spirituale e collettiva.

Si guarisce magari un pezzetto per volta, con una lentezza talvolta sconfortante, ma tutte noi abbiamo il diritto/responsabilità di impegnarci in questa direzione.

Sì, anche  Responsabilità, sì, anche nei riguardi degli altri, perché la nostra Gioia è soprattutto la fiaccola che portiamo nel mondo, donando un po’ di luce, dapprima a chi ci sta più vicino e poi a tutti gli altri.

Ci hanno insegnato la frase: “ crescete e moltiplicatevi”, io la vorrei parafrasarla in: ”cresciamo e illuminiamo”.

Dunque, a questo devono servire incontri e condivisioni: aiutarci reciprocamente a stare meglio, sostenendoci nell’impegno a curare il nostro corpo, e a curare le ferite del cuore e dell’anima che oscurano e appesantiscono la vita di tutti i giorni.

E questo è un impegno sacro che onora, come ci insegna  Bach, “la scintilla divina” che è in ognuna/o di noi.

Il fatto che le donne per millenni siano state soggiogate e svalutate, oltre alla loro intrinseca essenza femminile che, come sappiamo, le rende più affini al concetto di cura e pietas, ci semplifica il compito. L’oppressione annichilisce e devasta, ma può anche  rendere  gli oppressi più resistenti e consapevoli.

Anche per tali ragioni, siamo principalmente noi donne l’avanguardia di questo cammino, siamo noi, come Persefone,  che rechiamo la fiaccola.  Siamo noi che  possiamo contribuire a dissipare l’angoscia e il terrore per l’ineluttabile mortalità umana,  sostituendo alle tenebre una tenace volontà di godere dei piccoli-grandi doni che ogni giorno riceviamo: le foglie d’autunno, la prima rosa, il profumo del pane, l’acqua fresca del mare, la risata di una persona cara, le fusa del gatto, il naso umido dei cani, l’entusiasmo ancora intatto dei bambini… e poi la musica,  un bel libro… e..e…

Proviamoci insieme ne vale la pena.

Un abbraccio circolare a tutte e a tutti voi.

Grazie a  Adriana, Dalila, , Francesca, Luisella, Mimma, Paola, Sonia,  Susanna.

Marisa Raggio        I Fiori e le Dee

 

Le dee nella rete

Le dee nella rete

Il Web è un “non” luogo curioso.
La diffusione epidemica in rete e sui social della “moda” delle dee, che siano greche, celtiche o di origine più esotica, ha in parte banalizzato una tematica che è complessa e delicata, in quanto pone le sue radici, non solo nella sfera psichica umana, ma anche nel desiderio di sacro che è presente in misura più o meno consapevole in ognuno di noi. Così ci spiegano Abraham Maslow e Stanislav Grof, fondatori della Psicologia Transpersonale, e non ha mai smesso di ricordarci Carl Gustav Jung.
La diffusione di questa “moda” ha d’altra parte anche il merito di avere diffuso nelle coscienze più aperte e curiose concetti che diversamente sarebbero rimasti inaccessibili a molte e molti di noi.
Quando una Idea comincia a circolare è soggetta a modificazioni, contaminazioni, trasformazioni, ma comunque lascia una scia, sia essa oscura o luminosa, nelle coscienze che ha sfiorato.
Ogni donna ed ogni uomo è libero di attingere a questa coscienza collettiva utilizzandola per la propria evoluzione personale, ponendola al servizio degli altri.
Chi come noi ha fiducia nel potenziale umano positivo, partirà dal concetto che anche il risveglio della Dea, come noi amiamo chiamarlo, rappresenti una opportunità, sempre che, chi si avvicina a questa sostanza nouminosa lo faccia con rispetto e l’intento di “fare del proprio meglio”, senza deliri di onnipotenza o finalità manipolatorie.
Marisa Raggio
I Fiori e le Dee

Artemide o Era? Non siamo costrette a scegliere.

Artemide o Era? Non siamo costrette a scegliere.

Ragazze, lo so che la maggior parte di voi si vede come una novella Artemide o vorrebbe essere così. Tutte noi la ammiriamo!

Quale rappresentazione archetipica incarna meglio il modello sbandierato dai media, se non “Artemide la Coraggiosa”?
Molti dei suoi attributi ci affascinano: le belle e lunghe gambe scattanti, la foresta, la luna, le ninfe fedeli…
Persino un fratello bello come il Sole, Apollo, da utilizzare come complice in caso di necessità..e poi via, ognuno per la propria strada…
Che bella storia! Il web pullula di immagini accattivanti di Artemide, ritratta come una sorta di super-eroina, poco vestita e palestrata!

Sogniamo pure, ma, come sempre, una lettura superficiale del mito può portare fuori strada.
Millenni di società patriarcale hanno innestato nel profondo di noi un altro modello, oggi meno prestigioso, ma molto più reale e diffuso fra tutte le donne: Era, la moglie.
Questa incarnazione archetipica, in realtà poco amata dalle donne del XXI° secolo, di fatto è molto presente in ognuna di noi, e proprio perché rinnegata, tende a fare danni, fino a quando non riusciremo ad accettarla ed integrarla.

Non facciamoci illusioni, Il sogno del Principe Azzurro è più forte di qualsiasi altro mito e profondamente incistato nel nostro inconscio. Inutile rifiutarlo e negarlo, impariamo a guardarlo, onestamente riconosciamo quanta Era è in noi e proviamo ad onorarla adeguatamente. Ci potrà essere utile…
Facciamo finalmente sì che le due dee, Artemide ed Era, non più avversarie, si abbraccino… almeno nella nostra psiche.

Marisa Raggio

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