Madre Archives - Il Canto di Estia di Marisa Raggio

Il Mito: una chiave di lettura dell’orrore quotidiano

Il Mito: una chiave di lettura dell’orrore quotidiano

“ Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”   Fabrizio De André

Scrivo questa riflessione soprattutto per superare lo shock, personale e collettivo, di quanto avvenuto alla piccola Elena vittima dalla madre: la morte di un innocente, per mano di chi dovrebbe più di chiunque altro proteggerlo, ci lascia sempre devastati.
E ancora una volta mi rivolgo al Mito per cercare di almeno di capire se non comprendere, andando oltre una informazione mediatica che talvolta sfiora il voyeurismo morboso.

Il quesito che ci possiamo porre é: esiste una sindrome di Medea?
E il pensiero corre proprio compagna di Giasone. Nella loro vicenda la polarità della coppia appare evidente: lui l’Eroe luminoso, amato e celebrato e lei, la maga oscura, che in una escalation di ferocia arriva a commettere il crimine più orrendo, l’uccisione dei propri figli, per vendicarsi del compagno bugiardo e fedifrago.
Secondo il modello patriarcale, Medea doveva suscitare esclusivamente orrore, incarnando la “summa” di quella malvagità femminile rappresentata in modo inquietante nella tragedia di Euripide: una rappresentazione archetipica  così potente ed umana da ispirare da sempre il mondo dell’Arte.
Si dibatte, soprattutto in tempi recenti, su chi fosse in realtà la compagna di Giasone, poiché come avviene nei miti, le versioni tramandate sono contraddittorie.
Medea è una vittima della misoginia e xenofobia dei Greci che “inventano” il Mostro, o una donna di eccezionale temperamento che, colpita dalla freccia di Cupido (ancora una volta colpa di Afrodite), sviluppa una “ossessione amorosa” in nome della quale commette una serie di orrendi crimini?
Prendiamo in considerazione la seconda versione che ci viene tramandata: quella di una  Medea tenebrosa, dilaniata dal dolore e il desiderio di vendetta, così come ce la presenta Euripide.
Il primo crimine a cui assistiamo è quello nei riguardi della famiglia di origine: l’uccisione e lo smembramento del fratello per coprire la fuga con l’amato. In seguito i suoi delitti costellano la trama spietata che lei ordisce utilizzando sofisticate arti magiche, mettendosi sempre al servizio dell’adorato Giasone.
Fin qui tutte nefandezze che sembrano non creare troppo scalpore nelle antiche narrazioni: che ci si poteva aspettare da una barbara e non è forse compito di ogni brava moglie sostenere la carriera del marito?
Le cose si complicano quando il celebrato Eroe, dimostra la propria ingratitudine ripudiando la compagna ormai scomoda per una nuova giovane moglie, più “conveniente socialmente : storia peraltro sempre attuale…
Medea cacciata dalla sua terra di adozione, quella che ormai considerava la sua “casa”, dirotta tutta la propria feroce determinazione, fino a quel momento incanalata nel servizio al proprio idolo, in una vendetta terribile che avrà come culmine il sommo crimine: l’uccisione dei figli del traditore, i propri stessi figli.
La sua furia vendicativa è inarrestabile e tutto travolge. Arrivando ad uccidere i suoi stessi bambini, Medea compie un gesto che rappresenta l’annichilimento di se stessa come donna, madre, persona.
Siamo di fronte a una  storia  tragica che purtroppo tende periodicamente a riproporsi quando il disagio emotivo, per pregiudizio, ignoranza, disinteresse, viene ignorato, nonostante i segnali di pericolo siano, come nel caso specifico di Elena, particolarmente evidenti.
E dunque il crimine per eccellenza, il figlicidio, non può essere espiato esclusivamente con la punizione della “cattiva madre”, perché anche il fungo più velenoso nasce da da un humus condiviso.
Questa consapevolezza non ci deve portare a puntare il dito sui vari attori delle vicenda, quanto piuttosto a capire i meccanismi che mettono in moto la” macchina della tragedia”, affinché questa tenda a non ripetersi.

Marisa Raggio

Appendice:
Da una intervista di Laura Cuppini allo psichiatra Claudio Mencacci , Corriere della Sera, 14-6-22

A posteriori, questa tragedia si sarebbe potuta evitare?
«Dalla bambina possono essere arrivati segnali di malessere, evidentemente non colti. Martina Patti avrebbe dovuto curare il proprio discontrollo della rabbia, ma in primo luogo penso che sarebbe stato necessario un intervento sociale per rompere l’isolamento della donna, unito forse a difficoltà economiche, povertà anche culturale, ambiente familiare instabile e, senza dubbio, la giovane età».

L’incontro con Pan: da  Kore a Persefone

L’incontro con Pan: da Kore a Persefone

Nella storia dell’umanità, il mito di Kore-Persefone rappresenta la narrazione più efficace di una trasformazione femminile: dalla vulnerabilità alla autorevolezza. Dovremmo ricordare ripetutamente questa storia, affinché la vibrazione potente di tale mito penetri profondamente in noi.
Ancora una volta assistiamo ad un percorso iniziatico secondo lo schema simbolico malattia-morte resurrezione: da Kore, la fanciulla legata alla madre e poi a lei strappata e trascinata in un luogo spaventoso, a Persefone, regina del mondo infero, assisa sul trono, temuta e rispettata.
Il potere di Persefone, non è solo potere politico: sebbene sia la regina del mondo infero, è soprattutto onorata come guida spirituale che svolge l’importante ruolo dello psicopompo. La dea infatti conduce le anime dei defunti verso il regno dei morti e guida gli eroi nell’Ade, in un viaggio di andata e ritorno che solo lei può rendere possibile. Persefone è l’unica fra le divinità del monte Olimpo il cui mito ci tramanda un prima e dopo, rappresentandola nella sua evoluzione.

Forse non a caso ho incontrato tante Kore e in alcuni felici occasioni ho avuto il privilegio di vederle cambiare, acquisendo alcuni degli attributi di Persefone.
Come spesso ho sottolineato, non desidero ridurre la storia di queste donne a mere “tipologie”, ognuna di loro è apparsa ai miei occhi unica e speciale. Tuttavia riconosco nelle loro difficoltà, nei loro blocchi, nella loro tristezza, così come è avvenuto prima di tutto con me stessa, l’azione di archetipi dominanti e la debolezza di altri che sarebbero invece da “tonificare”.
Alcune donne hanno chiesto il mio aiuto perché ansiose e spaventate, talvolta soggette ad attacchi di panico: “quando mi succede così penso di stare per morire”. Questa è una delle prime cose chi viene riferita.
L’attacco di panico, ovvero l’esperienza del “terrore” vero e proprio, infligge una ferita profonda, lasciando per anni un alone di vulnerabilità: la paura che possa “succedere di nuovo”.
Tuttavia molte donne non si lasciano bloccare, continuano la loro vita sviluppando una corazza robusta che le rende accanite lavoratrici, mamme e mogli perfezioniste, donne iper organizzate e talvolta tiranniche, sia nel lavoro che in famiglia. Tuttavia possono manifestare una forte dipendenza dalla figura materna che continua ad avere lo stesso ruolo rassicurante svolto nella loro infanzia. La madre protettrice può essere con gli anni sostituita da altre figure: un marito, una sorella, in alcuni casi persino un figlio.
Alcune donne confessano con imbarazzo di guidare solo se accanto a loro c’è la mamma o una sua sostituta, lo stesso avviene per i viaggi in treno, in aereo o sui mezzi pubblici, c’è anche chi riesce ad entrare in un supermercato “solo con la mamma” o non si avventura per la strada se non ha uno dei suoi figli per mano. Ricordo una ragazza che con la sua bicicletta affrontava grintosamente il traffico metropolitano, eppure quasi non si azzardava a camminare per la strada da sola. Per lei, mi spiegò con chiarezza, la bici rappresentava un rapido mezzo di fuga in un eventuale quanto improbabile “momento di emergenza”.
Tutti questi comportamenti evitanti , finiscono per condizionare pesantemente lo svolgimento della vita quotidiana, abbattendo l’autostima di queste donne che in realtà hanno spesso notevoli capacità e talenti.

Dunque la donna dominate da aspetti Kore, prima di essere incoronata regina, può sperimentare quello che tutti conosciamo come “attacco di panico”. Anche qui i riferimenti mitologici sono illuminanti.
Il prefisso “Pan” in greco antico significa “tutto”, in effetti il picco più alto di panico spesso è descritto da chi lo ha vissuto, come una esperienza di “perdita di sé”, intesa come smarrimento della propria individualità. Lo stesso prefisso, coerentemente, ci rimanda a Pan dal piede caprino, signore dei pascoli, divinità con attribuzioni sessuali molto esplicite.
Pan il selvaggio, incarna gli aspetti liberi e contraddittorii delle forze naturali, ama suonare il flauto diffondendo la sua musica sublime, ma spesso terrorizza gli umani producendo grida terribili. Il suo passatempo preferito tuttavia è costituito dall’inseguire ninfe e fanciulle umane per soddisfare la sua voracità sessuale, totalmente priva di inibizioni.
Simbolicamente, questa divinità la cui rappresentazione nel mondo cristiano è stata utilizzata per rappresentare il Diavolo, mezzo uomo e mezzo caprone, rende l’idea del pericolo che incombe sulle fanciulle inermi. Una minaccia soprattutto interna, costituita dall’affacciarsi delle proprie pulsioni erotiche, etichettate come ferine e peccaminose. Le giovani donne devono fare i conti con una misconosciuta componete istintuale percepita come perturbante, una forza maligna che le incita pericolosamente a trasgredire l’intrico di regole del sistema patriarcale.
Tali “forza oscure”, che siano rappresentate nei miti come le energie sotterranee del cupo Ade, o quelle iper vitali del dio capro, gioioso e sporcaccione, per essere ridimensionate nella loro portata terrorizzante, devono essere viste, riconosciute ed infine accettate per quello che sono: forze vitali senza le quali finiremmo per indebolirci e appassire.

Tale itinerario di smascheramento delle nostre presunte minacce interne può essere efficacemente percorso con l’ausilio della floriterapia.
Ogni essenza floreale di Bach, ma anche quelle di altri sistemi scoperti negli ultimi decenni in diverse parti del mondo, ci rimanda a caratteristiche emozionali precise che, se ci riguardano, attivano la nostra naturale tendenza a riequilibrarle.
E’ interessante come gli aspetti dissonanti della personalità Kore e le strategie messe in atto per camuffarli, possano essere efficacemente tradotti nel linguaggio della floriterapia.
Un bravo floriterapeuta sarà sicuramente in grado di consigliare i fiori più adatti ad aiutare la sua cliente Kore, iniziando dalla miscela per affrontare il picco più acuto del panico, via via contribuendo a rassicurarla, sostituendo la percezione di sé stessa come creatura fragile e vulnerabile con quella di donna adulta, consapevole delle proprie doti di autonomia e coraggio, nonché della forza sufficiente ad affrontare prove e difficoltà.

Dunque Kore si avvia a diventare Persefone: ha appreso come gestire il panico, va al supermercato da sola e da sola guida la sua macchina.
Tuttavia questa trasformazione non si può considerare veramente conclusa fino a quando le oscure minacce che ancora minano la sua sicurezza anziché essersi dissolte sono semplicemente e persino efficacemente represse. Un tale atteggiamento spesso conduce ad un forte irrigidimento nel carattere e la donna, per quanto maggiormente sicura, può diventare via via più autoritaria, potenziando la sua ossessione per il controllo e l’intransigenza nei giudizi.
In questo caso, l’isolamento ed il distacco nelle relazioni con gli altri, che viene mascherato come bisogno di spazio ed autonomia, in realtà cela il timore che la propria regalità, in fondo ancora traballante, venga messa in discussione da chi la circonda.
Insomma ci sarebbe ancora tanto lavoro da fare, ma spesso la relazione d’aiuto viene interrotta dalla cliente che sostiene di non averne più bisogno. Lo stato acuto non si ripresenta da molto tempo e quindi lei giustamente sente l’esigenza di fare da sola. Anche questa è una fase di crescita che può essere utile.
D’altra parte se l’integrazione dei propri fantasmi interiori non è completa resta la possibilità che, anche dopo tanti anni, il temuto attacco di panico si ripresenti, non necessariamente in veste di nemico, ma come consigliere, indicando che c’è ancora per la donna un pezzo di strada da percorrere.
La corona di Persefone non rappresenta una facile conquista, va guadagnata osando inoltrarsi in zone oscure, temibili, ma non necessariamente ostili.
Ci sono essenze floreali che incarnano con precisione la gamma degli stati d’animo e delle dinamiche emotive sopra descritti e dunque rappresentano per la donna un notevole supporto nell’impegnativo passaggio dalla dominanza degli aspetti Kore al potenziamento di quelli Persefone.
Ne ho scelte alcune che ritengo fondamentali, tuttavia non ne escludo altre, a seconda della specificità e della biografia della persona che le assume.

Vulnerabilità di Kore:
Rock Rose: tendenza a spaventarsi, sensazione costante di terrore.
Cerato: sfiducia nel proprio giudizio
Larch: scarsa autostima, sottovalutazione.
Clematis: difficoltà ad accettare la realtà
Crab Apple: rifiuto del proprio corpo, vergogna per le proprie necessità fisiologiche.

Strategie compensative attivate per gestire e nascondere la propria vulnerabilità:
Rock Water: autodisciplina ferrea,auto inflitta per sopperire alla percezione della debolezza
Cherry Plum: eccesso di controllo, tensione, sentirsi sempre in stato di allarme.
White Chestnut: attività mentale frenetica e tormentosa
Red Chestnut: preoccupazione eccessiva per i propri cari
Vine: impulso a gestire, coordinare e comandare. Rigidità e autoritarismo
Beech: intolleranza e rifiuto tutto ciò che sfugge al controllo.

Nell’emergenza dell’attacco di panico:
Rescue Remedy, sempre in tasca.

Il viaggio di Proserpina

Il viaggio di Proserpina

Una storia antica, sempre la stessa.

Non ho ancora capito bene perché è successo.
Io e mia mamma Rita siamo sempre state unitissime, mio padre impegnato con i turni in fabbrica, e noi due sempre insieme. In casa un gran movimento: i bambini del vicinato, animali vari e lei che sfornava dolci per le nostre merende. Credo che il profumo della torta marmorizzata di mia madre mi accompagnerà tutta la vita.
Comunque il nostro modesto appartamento accoglieva i randagi a due e quattro gambe che mamma raccattava. Lei era fatta così, diceva che un piatto di minestra non si nega a nessuno e mi insegnava che le persone sono tutte sostanzialmente votate al bene. E io le credevo, ero fiera di lei, ma certe volte avrei voluto provare a fare a modo mio, quale fosse quel modo però non lo sapevo.
Poi andai al liceo, erano anni difficili quelli, 1973, un gran casino per le strade, manifestazioni e persino Rita che si occupava di politica, saltava da una riunione all’altra, la casa ancora più affollata del solito.
Io a scuola vedevo i ragazzi dell’ultimo anno, i jeans stinti, le Clarks ai piedi: discutevano sempre fra di loro, mi sembravano così intelligenti, pronti a salvare il mondo.
Ma il più figo era lui, il bel tenebroso della Quinta B.
A scuola andava malissimo, di politica in realtà non si occupava, credo che non avesse mai letto un libro fino in fondo, eppure tutti lì a girargli intorno come satelliti intorno al sole. Le feste funzionavano solo se c’era lui: chi non avrebbe voluto essere suo amico? Chi non avrebbe voluto essere la sua donna?
Perché tra tutte le ragazze carine che lo adoravano si fosse fissato proprio con me non l’ho mai capito. Forse perché aveva intuito che io era la più sciocchina, quella che gli avrebbe permesso di fare tutto quello che voleva.
A quell’epoca il desiderio di trasgressione dei ragazzi passava per due strade che, anni dopo, spesso si sarebbero incrociate: una era la politica, l’altra qualcosa di molto più pericoloso: l’eroina.
Io già li riconoscevo quel che si facevano, spesso erano messi male, ma alcuni avevano il fascino degli angeli caduti, chiusi fra loro in un circolo di “eletti”. E al centro di tutto c’era lui che mi omaggiava di un bel biglietto per l’Inferno. Così tutto ebbe inizio.
Eppure, anche dopo l’eroina per me il baratro non si era era ancora spalancato completamente. Toccai il fondo quando lui mi disse che se lo amavo veramente dovevo dimostrarglielo.
Iniziò con il suo migliore amico, quasi un fratello mi disse, loro condividevano tutto ciò che possedevano ed io ero una sua proprietà. Dopo pochi giorni iniziò a impormi uomini sconosciuti e via via, sempre più disgustosi. Dovevo guadagnarmela la dose, pensavo forse che lui mi avrebbe regalato la roba per sempre?
Ecco, era questo il baratro e io ci ero caduta in pieno, cominciavo a rendermene conto, ma non c’era nulla che potessi fare, mi trovavo nelle mani dell’Orco.
L’Orco era astuto, carismatico, ma commise un errore: aveva sottovalutato mia madre, Il tornado Rita come lo chiamavo io da bambina.
Lei si era accorta abbastanza in fretta che le cose non andavano bene, ma non sapeva proprio da che parte cominciare. Mio padre, gli zii, tutta la famiglia, la trattavano da pazza paranoica :” È una fase” le dicevano”, “vedrai che poi tutto si mette a posto”.
Brava gente i miei parenti, persone semplici, un po’ ottuse, che neanche sospettavano l’esistenza di una cosa che si chiamava eroina,
E neanche potevano immaginare l’inferno in cui ero finita.
Rita invece cominciava a capire, si rivolse ai professori, parlò con uno psicologo, tutti allargavano le braccia, tutti si dimostravano incapaci di aiutarla.
Qualcuno le diede il consiglio di mandarmi all’estero a studiare, come se fosse possibile in una famiglia modesta come la mia! Intanto avevo cominciato a rubare in casa, piccole somme, piccoli gioielli, i soldi della spesa della nonna, il borsellino della zia che era venuta a trovarci.
Solo a questo punto anche mio padre dovette accettare il fatto che stava succedendo qualcosa di molto brutto alla sua bambina.
Così, a malincuore, Rita trascinò il marito alla polizia.
Ci beccarono con le mani nel sacco, eravamo in un lurido scannatoio, tipi strani che aspettavano docili il loro turno per andare con la “ragazza”, ovunque siringhe, cucchiai, mezzi limoni e bustine di ero.
Io uscii subito, avevo 16 anni, ma lui, il genio pluri-ripetente, aveva già compiuto 21 anni. Restò dentro per un bel po’.
All’inizio per me fu dura, durissima, ma portai a casa la pelle, non mi ammalai e riuscii persino a terminare gli studi ed eccomi qui dopo tanto tempo, a raccontare questa storia uguale a quella di tante altre ragazze della mia generazione.
Oggi che faccio l’insegnante, posso dire di avere un certo occhio per le situazioni pericolose in cui si trovano le mie sallieve, c’è poco da fare, l’esperienza insegna… e tu impari a leggere i segnali.
Per il mio idolo andò peggio, ebbe un condanna severa, ma in galera fece carriera diventando una specie di piccolo boss, tanto che per un lungo periodo dovetti convivere con la paura che uscito di prigione potesse vendicarsi su mia madre.
Passarono gli anni, molti anni. Con mio grande disappunto un pomeriggio piovoso lo incontrai per la strada, spiumato, macilento, ma sempre con lo stesso sguardo arrogante: gli occhi scuri lucidi come carboni. Pensai di fingere di non vederlo, ma lui mi chiamò tre volte. E così fui costretta a fermarmi, a parlargli nonostante il disgusto che provavo. Voleva dirmi una cosa, sembrava tenerci davvero, doveva averla covata per tanto tempo. Mi disse che non ce l’aveva con me: ”che gentile” pensai furiosa, e stavo per girargli le spalle quando lui aggiunse: “ non ce l’ho neanche con Rita anche se mi ha mandato dentro, alla fine ha fatto il suo mestiere, lei è una tosta! E tosto anch’io che sono ancora vivo nonostante la galera e tutto quanto: siamo della stessa pasta io e tua madre”.
E finalmente riuscii ad andarmene, lasciandomelo per sempre alle spalle: dal giorno che l’avevo incontrato nei corridoi del liceo, di fronte alla Quinta B, erano passati trentadue anni.

Marisa Raggio “ I Fiori e le Dee”

(L’immagine in evidenza è tratta dal film “Christiane F.-Noi ragazzi dello zoo di Berlino”)

Il Ratto di Proserpina di Lorenzo Bernini

I FIORI E LE DEE ® Un’intervista a Marisa Raggio

I FIORI E LE DEE ® Un’intervista a Marisa Raggio

D) In che cosa consiste la tua ricerca?

MARISA) Io sono fondamentalmente una floriterapeuta, utilizzo cioè le Essenze Floreali per offrire aiuto e sostegno alle persone che si rivolgono a me.

In prevalenza la mia clientela è composta da donne e ho sempre pensato che condividere le loro storie, i loro dolori, difficoltà ed emozioni sia un grande privilegio.

A differenza dei miei clienti maschi, che non essendo abituati a condividere i contenuti emotivi più intimi spesso faticano ad “esporsi”, le donne amano “raccontarsi”. La loro narrazione spesso è ricca di elementi interessanti ma tende a mutare, spostando il focus ad ogni incontro. Stabilire una gerarchia di Essenze Floreali da proporre, così come aiutarle a fissare degli obiettivi da perseguire, può rivelarsi complicato. La teoria degli Archetipi mi è servita, e mi serve tuttora, da parametro per ordinare questa grande massa di informazioni.

Guardando dentro di me ed osservando le mie clienti, ho realizzato che spesso la nostra realtà, sia interiore che esteriore, viene occultata dal racconto di quello che vorremmo essere ed apparire. Ci sono aspetti e qualità del nostro femminile che giudichiamo prestigiose e quindi ci illudiamo che siano nostre, altre invece, pur governando i nostri comportamenti e le nostre emozioni, non sono ritenute accettabili e perciò vengono nascoste.

La domanda di fondo di tutta la mia ricerca è: CHI SONO VERAMENTE?

 

D) Quando hai iniziato la tua ricerca?

Marisa) Già all’università, mentre lavoravo alla mia tesi in antropologia culturale su una popolazione del sud del Cile dove e è tutt’ora diffusa una forma di sciamanesimo femminile. Come in altre società non industrializzate, dunque legate al mondo agricolo, la struttura cosmogonica e la loro concezione del Sacro pone al centro elementi simbolici fortemente collegati al principio femminile.

Molte letture mi hanno permesso di riconoscere quanto la stretta connessione fra la donna, il suo corpo ed i cicli della natura sia stata in passato, come possiamo osservare ancora oggi in alcune popolazioni arcaiche, considerata Sacra.

Questo non smetteva di sorprendermi considerando la svalutazione sociale e religiosa a cui la donna è relegata nelle principali religioni monoteiste e che tuttora persiste nonostante l’emancipazione femminile abbia, specialmente negli ultimi 100 anni, dato vita ad una evidente “rivoluzione”.

Ciò sta avvenendo soprattutto a livello sociale, anche se tanta strada resta ancora da percorrere, ma per quanto riguarda l’aspetto religioso le cose non vanno di pari passo. I roghi della caccia alle streghe in fondo sono ancora tiepidi…

 

D) C’è un episodio cardine che ti ha portato a capire che la tua strada sarebbe stata quella della tua ricerca?

Marisa) Naturalmente non un singolo episodio. Nella mia vita ci sono stati tanti mutamenti: mi sono ritrovata a sentire più volte il bisogno di cambiare lavoro, luogo di residenza, partner.

Ognuna di queste “crisi” mi ha costretta a rivedere l’immagine di me stessa, aggiungendo tessere al puzzle che costituisce la mia personalità.

Con il trascorrere degli anni, ogni “crisi” mi portava a penetrare sempre più in profondità il mio mondo emozionale e quello delle mie clienti.

Mi è così diventato chiaro che le scelte sbagliate nella vita si fanno seguendo non ciò che si è ma quello che si vorrebbe essere.

Mentire a noi stessi è una pratica universalmente diffusa. Riconoscere gli aspetti della auto-narrazione che sono autenticamente nostri, liberandoci da quelli acquisiti o costruiti negli anni come illusoria protezione, è un lavoro che richieda coraggio e cuore pulito, ma può condurci a grandi sorprese, alcune spiacevoli altre gratificanti, tutte comunque estremamente illuminanti.

A livello personale, si è trattato di un lavoro impegnativo, a tratti doloroso, che però mi ha regalato una sensazione di espansione, freschezza e gioia come mai nella mia vita. Tale esperienza ritengo possa essere preziosa per ogni donna.

 

D) Che formazione hai seguito?

Marisa) Sono laureata in Lettere Moderne all’Università di Genova con indirizzo in Etnologia. La mia tesi di laurea, relatrice la grande etnologa Ernesta Cerulli, riguardava i Mapuche, una popolazione indigena del Cile, in cui è diffusa la figura della “Machi”, una donna che svolge nella comunità funzioni di guaritrice ed è spesso riconosciuta come “sciamana”, colei che collegando il mondo degli spiriti con quello degli uomini, si rende artefice di una guarigione che non è solo fisica, ma soprattutto spirituale.

In seguito, scoprendo il pensiero di Edward Bach e la Floriterapia ho frequentato i corsi di Margaretha Mijnlieff, una delle pioniere di questa disciplina nel nostro paese. La mia attività di Floriterapeuta è iniziata concretamente a Milano nel 1995.

Anni dopo ho frequentato una formazione di counseling che si è rivelata utile sia nella pratica floriterapica che in quella didattica. Infatti, dalla sua fondazione, nel 2002, sono docente della Scuola dell’Unione di Floriterapia di Milano.

 

D) Quali autori e ricercatori hanno influenzato la tua ricerca?

Marisa) E’ difficile ricostruire la genesi delle mie ricerche perché essendo stata una lettrice compulsiva da sempre, ho letto tantissimo materiale. Posso ricordare però che il primo approccio al pensiero Junghiano è stato con un libro di James Hillman letto nel 1998: “Il Puer Aeternus” (edizioni Adelphi), testo fondamentale sulla Teoria degli Archetipi.

Successivamente ho provato ad accostarmi all’enorme lavoro di C.G.Jung, in particolare alla sua identificazione del concetto di Anima e Animus; fondamentale per me è stata la lettura del suo libro “L’uomo e i suoi Simboli”.

Seguendo questa strada, ho scoperto un filone d’oro rappresentato dalle grandi allieve di Jung. – Maria Louise Von Franz ed M. E. Harding – che mi hanno accompagnato verso una progressiva comprensione di quello che resta un concetto complicatissimo: l’Archetipo junghiano.

Assolutamente illuminante furono le poche parole che Jung scrive nel1932, per l’introduzione al libro della Harding, La Strada della Donna(ed Astrolabio):

I concetti biologici e sociali possono esprimere soltanto una metà dell’anima femminile. Invece in questo libro diviene chiaro che la donna possiede anche una peculiare spiritualità del tutto sconosciuta all’uomo”

Queste tre righe da sole possono rappresentare la mia intera ricerca sul Femminile.

Anche Erich Neumann ha ispirato moltissimo la mia ricerca con il suo testo fondamentale “La Grande Madre” (ed. Astrolabio). Un libro estremamente innovativo che si impegna ad evidenziare la struttura e lo sviluppo dell’archetipo del femminile nelle sue manifestazioni concrete nel mondo.

Solo alcuni anni fa invece ho potuto conoscere la figura, le opere e le scoperte dell’archeologa Marija Gimbutas, fondatrice dell’Archeomitologia (Marija Gimbutas, Il Linguaggio della Dea, Ed Venexiana). Il suo lavoro è stato enorme sia in termini di quantità che di importanza, dunque difficile da riassumere qui in poche parole. Basti pensare alla sua ipotesi, solo negli ultimi tempi riconosciuta a malincuore dal mondo accademico, secondo la quale nell’Europa antica, dal tardo paleolitico al neolitico, fino all’età del bronzo, esistevano società agricole, sostanzialmente egualitarie e pacifiche che ponevano al centro della loro concezione del sacro una divinità femminile: la Dea.

Tali società furono, nell’arco di alcuni millenni, totalmente cancellate dalle invasioni di popoli indo-europei che imposero una struttura sociale e religiosa androcentrica. La grande quantità di reperti trovata da questa archeologia e l’attenta catalogazione di essi, rappresenta una importante conferma della presenza del Sacro Femminile nell’Europa antica. Tale scoperta ribalta il punto di vista da cui possiamo osservare la storia dell’umanità, focalizzandoci sull’insieme di valori sacri, intellettuali e corporei femminili che per millenni sono stati disprezzati ed esclusi dalla concezione del Divino, nonché da ogni forma di culto. La perdita del Sacro Femminile, ha impedito all’uomo di sperimentare adeguatamente una parte importante della sua dimensione emotiva e psichica, nel timore di essere poco virile, quindi inferiore. Siamo di fronte ad una revisione della storia dell’umanità che restituisce a tutti noi, donne e uomini, ciò che era andato perduto.

Un vero piacere è stata anche la lettura del fortunato libro di Jane Shinoda Bolen – Le Dee dentro la Donna (edizione Astrolabio) che semplifica e rende accessibile a tutte noi i modelli archetipici potentemente rappresentati dalle divinità della mitologia ellenistica

Ben più significativo per me è stato un altro libro della Bolen, non facilmente reperibile in questo momento – Passaggio ad Avalon (edizioni Piemme) – dove l’autrice narra la propria personale esperienza verso il riconoscimento della Dea.

Tra i sistemi floreali più diffusi attualmente, partendo da quelli del maestro Edward Bach, ho approfondito ed utilizzato con le mie clienti, le essenze floreali scoperte da Patricia Kaminski in collaborazione con il marito Richard Katz. Se il fiore rappresentativo del femminile scoperto dal dottor Bach è perfettamente espresso nell’essenza floreale Chicory, Patricia Kaminski, con la sua ricerca, ha trovato una serie di Fiori che vanno ad agire proprio sui diverse aspetti fisici ed emotivi delle donne, nonché degli aspetti femminili presenti in ogni uomo. Alcune di queste essenze, non a caso, sono delle bulbose. L’associazione analogica fra queste piante e l’utero femminile è evidente, così come quella fra un’essenza fondamentale Pomgranate (melograno) che nell’iconografia cristiana è spesso accostata alla Vergine Maria. Anche l’arte antica, dal mondo etrusco, a quello greco romano, fino al Rinascimento abbina questo frutto alla figura femminile. Abbiamo un monumento funebre etrusco in cui è rappresentata una nobildonna che tiene nella mano una melagrana. Un mito fondamentale come quello del ratto di Persefone cita i suoi semi, mentre visitando Ferrara, in un solo pomeriggio mi sono imbattuta in un affresco di Francesco Cossa che ritrae il trionfo di Venere in un carro decorato da melograne e più tardi nella commovente Madonna della melagrana di Jacopo della Quercia.

 

D ) Che differenza c’è fra la tua ricerca sugli Archetipi Femminili e le Dee rispetto alle proposte del panorama italiano?

Marisa) Da quanto ho raccontato fino a qui, mi sembra chiaro che il mio impegno non nasce da una infatuazione passeggera, legata ad un tema affascinante e molto di moda.

Ritengo che la mia ricerca possa rappresentare una novità in quanto è la prima volta in cui gli Archetipi vengono utilizzati nella pratica del colloquio di Floriterapia.

Personalmente propongo uno strumento che utilizzo da anni concretamente nella mia attività di Floriterapeuta.

Assumendo le Essenze Floreali, permettiamo loro di iniziare un dialogo con parti di noi sofferenti, maltrattate, ignorate, trasformandole dolcemente da zavorra a risorse utili nelle sfide della vita di tutti i giorni.

La lettura della narrazione della cliente in chiave di Archetipi  contribuisce a chiarire aspetti spesso taciuti perché imbarazzanti o troppo dolorosi, di conseguenza a migliorare l’autoconsapevolezza, facilitando il compito della Floriterapeuta.

Oggi esiste anche un marchio che riassume la mia ricerca : I FIORI E LE DEE® che vuole rappresentare questo tipo di lavoro.

Ci tengo a precisare anche che al di fuori del mondo della Floriterapia, oggi in Italia, ci sono alcune serie e brillanti ricercatrici che, ognuna con la propria originalità e sempre con grande impegno e passione, diffondono il Nome della Dea.

 

D) In cosa consiste il progetto “Il Labirinto delle 7 Dee”?

Marisa) “Il Labirinto delle 7 Dee” è un progetto che aiuta a diffondere la ricerca I Fiori e le Dee ®.

Il labirinto è un simbolo antichissimo che rappresenta la ricerca del proprio Sè superiore. In questo caso lo utilizzo per esprimere un cammino alla ricerca di pezzi di noi  che abbiamo trascurato e nascosto a vantaggio di altri divenuti  ipertrofici. Ma ogni donna, per stare bene, ha bisogno di tutte le parti che la compongono, impegnandosi sempre a farle funzionare in armonia. Io la chiamo “La Danza degli Archetipi” grazie alla quale possiamo permettere che queste parti dentro di noi convivano con grazia, agendo in alternanza, senza che mai una domini le altre.

Fra tutte le rappresentazioni archetipiche dell’Inconscio collettivo  ho scelto di utilizzare quelle del mondo classico che agiscono potentemente in quanto profondamente radicate nella nostra cultura. Sono le Dee che abbiamo superficialmente incontrato sui banchi di scuola, al cinema, nei libri, dunque sono figure un po’ famigliari.

Quando durante il workshop il mito viene narrato, approfondendo con cura la portata simbolica di ciascuna Dea presentata,  la donna, a prescindere dalla sua formazione scolastica, riconosce immediatamente elementi che la riguardano. La Dea non le è estranea, le ricorda la madre, la sorella, la figlia o la rivale. Più difficile riconoscere che in realtà rappresenta proprio un aspetto che le appartiene. Perché ciò avvenga è utile il confronto con altre donne, sotto la supervisione di chi ha il compito di condurre il gruppo, facilitando la comunicazione.

Ci tengo infine a sottolineare come in questa mia proposta di lavoro resti fondamentale la sapienza dei Fiori: guida e sostegno per quei momenti di paura, confusione, scoraggiamento, smarrimento che costellano il nostro cammino, in questa vita.

Alla fine sempre: grazie Dottor Bach!

La prima ferita di Demetra

La prima ferita di Demetra

Quando arriva Settembre, Demetra è triste: la sua bambina andrà a scuola.                                                                                                                                                                          Sono finite le giornate insieme, giri senza fretta fra i banchi di frutta e verdura, riviste sfogliate una accanto all’altra, marce forzate nei corridoi dell’Ikea, dolci preparati a quattro mani con la farina ovunque, piantine travasate maldestramente, risate, coccole.
Poi Demetra deve consegnare alla società quello che le appartiene, strappare una parte di sé ignorando lo sguardo spaesato della bambina, persino le sue lacrime. “Mamma non voglio restare qui senza di te!”
La giornata sembra non passare mai e trascorre sprecata nell’attesa: “ Tra poco me la vado a riprendere”. Il pensiero continuamente va alla ricongiunzione, all’abbraccio totale, la perfezione di due metà della stessa mela che tornano ad unirsi.
Demetra è fuori dalla scuola in anticipo, sente la campanella che suona, i bambini sciamano lungo la scalinata verso gli adulti in attesa. Il chiasso è tremendo, e lei non la vede, pensa: “la mia dove è?”
Eccola, è fra gli ultimi, trascina piedi e cartella, persa nelle chiacchiere con altri due soldi di cacio, una ricciolina e un maschietto biondissimo. La madre la chiama e la sente che si congeda riluttante, poi corre dalla madre, l’abbraccia distrattamente, lo sguardo però è elettrizzato:
“Indovina mamma, ho due nuovi Amici!”
E’ così che Demetra avverte la prima pugnalata al cuore pensando: ”ormai la sto perdendo, cresce troppo in fretta…”

marisa raggio

 

Il Labirinto delle 7 Dee

Il Labirinto delle 7 Dee

IL LABIRINTO DELLE 7 DEE

Un workshop di Marisa Raggio ©

Il workshop “IL LABIRINTO DELLE 7 DEE” si rivolge ad un pubblico femminile e si articola in una giornata esperienziale in cui provare ad osservarsi da una nuova prospettiva, per risvegliare energia vitale, creatività e pace, ritrovando e ricomponendo parti di noi nascoste o dimenticate.

Il lavoro proposto si pone come obiettivo il riconoscimento delle Dee che agiscono nella nostra psiche o meglio, nei nostri visceri, nel nostro cuore, nella nostra testa e non è affatto detto che in queste tre parti di noi, agisca la stessa Dea. Tutto ciò significa comprendere che esistono forze invisibili che plasmano la nostra condotta e il nostro mondo emozionale.

IL PROGRAMMA IN SINTESI

La giornata inizierà con un excursus di tipo logico-cognitivo per inquadrare l’Archetipo Femminile attraverso i secoli, partendo dalle divinità femminili più note del Pantheon greco-romano e prendendo in considerazione alcuni dei miti più significativi ad esse collegati.

Attraverso la narrazione e le immagini, sarà così possibile addentrarsi profondamente in questa materia affascinante, individuando gli elementi simbolici che dall’antichità continuano ad avere un forte significato evocativo ed attuale in tutte noi.

Al termine di questa panoramica le partecipanti saranno in grado sperimentare nel proprio personale mondo emotivo le valenze simboliche che maggiormente risuonano.

Questo significa “AGIRE LA DEA” ovvero comprendere quale principio archetipico domina in noi e quale invece è più sacrificato.

Il pomeriggio sarà dedicato alla condivisione delle esperienze personali di ciascuna partecipante, in un clima di fiducia e gioia, facilitata dalla energia e solidarietà del gruppo, dall’utilizzo di Essenze Floreali californiane legate alle piante con il bulbo e dall’ esperienza ultra-ventennale di insegnamento di conduzione di gruppi di Marisa Raggio.

Sarà inoltre previsto un momento di veloce riepilogo di tutti gli archetipi attraverso l’uso degli olii essenziali, secondo una ricerca effettuata da Susanna Lupoli, naturopata, floriterapeuta ed allieva di Marisa Raggio.

Prima di salutarci, a ciascuna partecipante verrà consegnata una boccetta contenente uno dei fiori californiani più in sintonia con la Dea tiranna o sacrificata, a seconda delle esigenze emerse nell’arco della giornata, affinché il lavoro iniziato insieme possa continuare individualmente nei giorni seguenti il workshop.


“In periodi particolarmente faticosi o dolorosi ci ritroviamo a pensare:
non mi riconosco più”.
Questo spesso avviene perché la situazione esterna è radicalmente mutata ed i nostri abituali schemi comportamentali diventano inadeguati.

E’ in quel momento che il nostro inconscio cerca di porre rimedio alla crisi attivando aspetti della nostra psiche che fino ad allora erano rimasti silenti.
Con un altro linguaggio possiamo dire che una dea dentro di noi, che fino a quel momento non era stata riconosciuta, si attiva, creando un certo scompiglio e dettandoci atteggiamenti ed emozioni che sorprendono noi stesse e possono creare sgomento fra chi ci sta intorno.
In questo caso noi non siamo diventate qualcun’altra, ma piuttosto stiamo esprimendo realmente noi stesse, sperimentando parti di noi che per svariare ragioni non avevamo mai voluto o potuto vedere.

Quando la donna diventa consapevole delle forze archetipiche che agiscono su di lei, ottiene il potere che questa conoscenza fornisce.
Le “Dee” sono la rappresentazione di tali forze, potenti e invisibili, che plasmano la nostra condotta ed influenzano le nostre emozioni.
Nella pratica tale conoscenza può chiarirci il mistero di certi comportamenti che avevano sorpreso prima di tutto noi stesse:

Ecco perché l’ho fatto!!!” .
Capire ci aiuta a superare il dolore e la vergogna per aver commesso errori, passi falsi che ancora ci bloccano in inutili e nocivi sensi di colpa.
E’ allora che si crea la bellissima e non facile possibilità di liberarci da quelle maschere dietro alle quali ci eravamo nascoste e che ci permettevano di vivere la nostra vita soltanto in minima parte.”


DOMENICA 19 FEBBRAIO 2017

Si è tenuto il primo workshop intitolato Il Labirinto delle 7 Dee a Milano con la partecipazione di 14 meravigliose donne.

Ecco alcuni dei loro commenti

 

Per ulteriori informazioni, consultate la pagina: https://www.facebook.com/labirinto7dee/

“Mariposa Lily e Splendid Mariposa Lily: dall’inconscio personale all’incoscio collettivo”

“Mariposa Lily e Splendid Mariposa Lily: dall’inconscio personale all’incoscio collettivo”

Mariposa Lily (Calochortus  Leichtlinii), è una gigliacea originaria della America Settentrionale.

L’essenza che si ricava da questa candida bulbosa cura le ferite affettive là dove la nostra mamma biologica non è stata in grado di arrivare per incapacità o impossibilità. Proprio queste ferite, troppo spesso finiscono per infettarsi, indebolendo la qualità dell’affettività che a nostra volta vorremmo trasmettere a chi ci sta vicino: figli, nipoti, compagni e non ultimi clienti/pazienti.

Se è vero che lo sguardo della madre insegna l’amore al bimbo, quando questo sguardo è opaco, miope, ferito, il bambino sarà costretto a fare da solo, formandosi un’idea di affettività che talvolta appare zoppa o maldestra.  Mariposa Lily va a compensare proprio queste carenze e nutre e rigenera dove c’è stata povertà e mancanza.

Allo stesso modo, la teoria dei chakra rappresenta con il segno positivo il chakra del cuore della donna: da lì l’energia dell’Amore deve fluire verso l’uomo che, al contrario, ha il chakra del cuore di segno negativo, atto cioè a ricevere e ricaricarsi nella fusione con il femminile. Secondo una tradizione antichissima, dunque, è dal cuore della donna che si sprigiona la scintilla che diffonde l’Amore nel Mondo.

Noi non siamo monadi isolate l’una dall’altra, facciamo parte di un sistema che unisce tutti gli esseri viventi. Secondo il concetto di Unità di Edward Bach, un danno a un singolo elemento di questo sistema rappresenta un danno al tutto.

Esiste un’altra Calochortus (Calochortus Splendens), molto simile a Mariposa Lily la cui corolla però non è bianca ma di un luminoso rosa violaceo: Splendid Mariposa Lily.

La sua essenza rappresenta proprio tutto questo: il principio materno amoroso e risanatore che, trascendendo il singolo, raggiunge e cura Il Mondo.

Così insegnano Richard Katz e Patricia Kaminski:

“Mariposa Lily, l’affettuosa presenza della madre…il femminile materno come forza positiva dell’Anima.”

“Splendid Mariposa Lily: la Madre del Mondo; la capacità di vedere una sola madre per tutto il genere umano…”

Lo ripeto e lo ripeterò ancora: Il Femminile inteso non solo come genere, ma soprattutto come archetipo che C.G.Jung ci ha insegnato a riconoscere in ogni essere umano, sarà la nostra salvezza e questi meravigliosi gigli rappresentano l’incarnazione materiale di tale sacro principio risanatore.

Mariposa Lily e Splendid Mariposa Lily dall’inconscio personale all’incoscio collettivo 3

 

Archivio Articoli