11 Gen 2022
11 Gen 2022
4 Nov 2021
In questa serie di incontri, le eroine di cui ci occupiamo non sono Emma Bovary, Anna Karenina o le altre grandi figure femminili della letteratura di cui possiamo le vicende in modo lineare, appassionandoci ad una protagonista che, pur sorprendendoci con colpi di scena, resta in qualche modo fedele al ritratto che ne fa lo scrittore.
Queste sono Figure che arrivano da molto lontano attraversando il secolare percorso della elaborazione mitica. Di loro quindi non possiamo aspettarci una rappresentazione che segua un unico filo narrativo.
Il Mito non funziona così: qui le narrazioni della stessa storia sono molteplici, talvolta in contraddizione fra loro, sia nei tratti dei personaggi che assumono attributi diversi, anche in contraddizione fra loro, sia nella ambientazione geografica che talvolta varia notevolmente, lasciandoci disorientati.
Per la mia esperienza questo è vero soprattutto per la figura di Arianna.
I Miti che la riguardano sono tantissimi. In alcuni compare come comprimaria, collegata ad altre figure mitiche, offrendoci una Arianna diversa da quella che credevamo di conoscere.
Inseguendo Arianna posso davvero dire che ho rischiato di perdermi in un labirinto di vicende e significati che, sono convinta, non mi basterebbe un’altra vita per scovare e comprendere.
Tuttavia non è questa la strada che voglio percorrere: in questa mia ricerca i miti greci sono essenzialmente uno strumento per evocare qualcosa che è presente e sommerso in ognuno di noi.
Per questa ragione, fra le tante versioni, ogni volta scelgo di raccontarvi la storia che maggiormente ho sentito risuonare nel mio mondo emozionale, in quello delle mie clienti e in misura diversa in ogni donna che ho veramente “incontrato” sul mio cammino.
Dunque questa è la mia storia di Arianna: vi propongo di accantonare per un po’ la vostra parte logico analitica ed abbandonarvi all’ascolto, proprio come facevamo da piccole.
Se la narrazione evocherà qualche cosa la serberemo, il resto lasciamo che scivoli via.
4 Nov 2021
Un nuovo ciclo di incontri dedicati al Principio Femminile
Spunti di riflessione e soprattutto momenti di ispirazioni riguardo alla nostra struttura emozionale, personale e collettiva.
Per comprendere meglio come il Femminile si è adattato alle vicende del mondo attraverso secoli, anzi millenni, nonostante il tentativi di svalutarlo e negarlo
6 Dic 2019
Scusate, ma insisto.
Ogni volta che faccio riferimento a Era, la moglie del capo supremo Zeus, suscito un silenzio di tomba.
OK, l’ho capito: Giunone, come la chiamavano i romani, fra le affascinanti signore dell’Olimpo è proprio l’unica che di solito non desta la nostra ammirazione.
Tuttavia, lavorando con le essenze floreali, e soprattutto con le fondamentali 38 di Edward Bach, ho imparato che quando la tipologia caratteriale incarnata da quel dato fiore ci sta “antipatica”, be’, abbiamo toccato un “nervo scoperto”: è arrivato il momento di assumere proprio l’essenza di quel fiore ed incontrare la parte di noi che preferiremmo ignorare o addirittura detestiamo.
Seguendo lo stesso principio, penso che la nostra Era, nota per la mitica ira vendicativa con cui perseguita dee, donne, ninfe e ogni forma di vita che risvegli il desiderio concupiscente dello sposo, sia in realtà parte di noi, proprio come le sue più accattivanti colleghe divine.
Del resto nel mondo classico la regina degli dei, nonché protettrice di quella istituzione matrimoniale cardine del sistema patriarcale antico e moderno, era molto onorata, oggetto di un importante culto da parte delle fanciulle a cui la società non offriva altra prospettiva oltre a quella di essere moglie prima e poi madre.
“..ma da allora le cose sono molto cambiate” direte voi “oggi siamo tutte delle Artemide eternamente in corsa; simili a tante Atena artigliamo lo smart phone come se fosse una lancia, spinte come siamo a competere professionalmente con i maschi”.
E allora deponete un attimo arco e frecce, elmo, lancia e corazza, e trovate il coraggio di penetrare in quella parte di voi che rifiutate di frequentare. Invocate l’ausilio di Persefone ed addentratevi nel regno di Ade, là dove è relegata la vostra Ombra.
Proprio lì troverete una mogliettina gelosa e possessiva, una fidanzata ansiosa di sistemarsi, una donna ambiziosa che preferisce puntare su un marito vincente piuttosto che scendere in gara personalmente per realizzare i propri sogni. Vi avverto, non sarà piacevole scoprire che alcune di loro hanno il vostro volto o il volto delle donne della vostra famiglia.
Insomma per noi questo viaggio all’interno della nostra Ombra, non è esattamente ricreativo, ma potrebbe rivelarsi molto, molto istruttivo.
Quando infine, sulle orme della leggiadra figlia di Demetra torneremo alla luce, avremo incrementato l’immagine di noi stesse, imparando a perdonare le nostre insicurezze e meschinità e chissà, che questo non ci renda anche un po’ più indulgenti con le altre donne con cui ogni giorno ci troviamo a condividere difficoltà ed affanni.
Marisa Raggio
I Fiori e le Dee
9 Dic 2018
Secondo voi che cosa è il famoso intuito femminile?
Se ne fa un grande parlare e tutti ce lo riconoscono. Sì, insomma, noi non saremmo proprio..proprio intelligenti come i maschi e quando ci azzecchiamo è grazie al solito “intuito femminile”.
Ma i maschi davvero non lo hanno questo benedetto optional?
Se per intuito femminile intendiamo, chiamatelo un po’ come volete, il sesto senso, la sensibilità, l’attività dell’emisfero destro del cervello, l’Anima (intesa nella accezione junghiana), beh, queste cose le abbiamo tutti, uomini e donne, solo che ai maschi è stato insegnato da qualche millennio che quella roba lì è merce scadente e dunque l’hanno lasciata a noi femmine che la custodiamo, ne facciamo largo uso.
Peccato però, perché quando i maschi si lasciano guidare dalla loro Anima, dalla loro parte femminile, grandi cose accadono.
Ad esempio smettono di farsi la guerra e creano opere d’arte, oppure può succedere che si sacrifichino per difendere i più deboli, si impegnino in cause antieconomiche e obsolete come la difesa della natura, della bellezza e ciò tutte quelle sciocchezze che rendono dolce la vita.
Insomma quando i maschi permettono alla loro Anima di ispirarli, superando tabù e pregiudizi androcentrici, possono diventare veramente Grandi Uomini. Del resto Dante quando è stato il momento di arrivare al Top, in Paradiso, si è fatto guidare-ispirare da Beatrice.
Chiudo con un aforisma di cui non conosco l’autore, ma che mi fa sempre molto sorridere:
“L’intuito femminile è quello strano istinto che dice a una donna che ha ragione. Sia che ce l’abbia o no.”
Marisa Raggio
I Fiori e le Dee
4 Nov 2018
IL VERDETTO
“Quando una corte di giustizia delibera in merito all’educazione di un bambino, il benessere del bambino stesso deve essere considerato come prevalente e prioritario”, articolo fondamentale del Children Act (che dà il titolo originale al film), introdotto nella legislazione inglese nel 1989.
Se in “The Wife”, abbiamo visto un modello femminile apparentemente passivo, in questo film, tratto dal romanzo di Ian McEwan, ci troviamo di fronte ad una donna molto diversa.
Fiona Maye, è una persona importante: giudice della “Supreme Court of the United Kingdom”, si occupa principalmente dei casi più delicati di diritto familiare.
La sua carica ha un grande rilievo nel Regno Unito, infatti è assegnata a soltanto dodici giudici, attraverso una lunga e complessa procedura: il nome del candidato deve essere proposto al Lord Chancellor, se è accettato, passa al vaglio del primo ministro e infine, viene presentato alla Regina in persona, per la nomina finale.
Dunque la nostra eroina è una donna “tutta di un pezzo”, di doti morali e intellettuali largamente riconosciute, anche in un ambiente terribilmente maschilista ed elittario come quello in cui si muove.
Questo ci fa pensare che Fiona abbia dovuto faticare il doppio di qualsiasi collega uomo per raggiungere una posizione professionale così rilevante.
Ogni altro aspetto della sua vita è azzerato, fagocitato dall’impegno professionale, si salva solo la musica, una passione che continua a coltivare con puntiglioso impegno.
Il suo matrimonio vacilla, la vediamo alle prese con un marito dotato di una devozione “fantascientifica”, ferito dalla lontananza affettiva della moglie. Insomma la solita storia, ma al contrario.
Il film, affronta molti temi delicati e complessi, come il conflitto fra legge ed etica, fede e amore, aprendo anche una finestra sulla difficoltà adolescenziale di costruire una propria identità cercando di trovare riferimenti adeguati.
E tuttavia la figura della protagonista che qui ci interessa.
Il Giudice May, “My Lady”, come l’etichetta impone di chiamarla, impegnata in una causa complessa, attraverso l’incontro con un affascinante adolescente gravemente malato, si trova a dovere sciogliere dei nodi che da troppo tempo aveva accantonato. Da un lato ci viene descritta secondo lo stereotipo maschile della donna che deve rinunciare ai suoi attributi femminili: maternità e famiglia, in favore di una mascolinizzazione, per raggiungere professionalmente la vetta.
Questa visione manichea all’inizio può apparire irritante, ma la potenza espressiva di Emma Thompson ci regala l’immagine di una donna ricca di sfaccettature, una figura dolente, a tratti tragica, alla quale il mondo degli uomini ha richiesto di camuffare alcuni aspetti del proprio femminile.
Noi vediamo Fiona sempre in divisa, ogni giorno corazzata nel suo tailleur rigorosamente nero, oppure, con tanto di parrucca e cappa bordata di ermellino nello svolgimento del proprio solenne incarico. Persino quando indossa abiti da “occasione”, sembra non togliersi mai elmo e corazza.
Schierata in difesa delle legge, delle norme della costituzione, dell’ordine contrapposto al caos, della razionalità rispetto alla passione, del bene collettivo, contrapposto a quello del singolo individuo, il giudice Fiona May è una Atena perfetta.
Ci insegna James Hillman*, che Atena è la protettrice dell’ordine civico, paladina del mito del progresso, della civiltà occidentale, dotata dell’abilità di risolvere problemi intricati. Sostenitrice della civile moderazione, esalta la perspicacia del giudizio, il prevalere dell’autocontrollo sull’azione impulsiva.
“Tutte qualità che costituiscono l’intima essenza della mente strategica… possiamo dire che Atena esercitava il potere in modo strategico senza ricorrere semplicemente alla coercizione.” **
La donna dominata dalla rappresentazione archetipica di Atena è sovente, proprio come Fiona, una donna da ammirare, stimare, ma non sempre da amare. Portatrice di una qualità emotiva rigida, costringe sé stessa a celare le proprie emozioni e spesso le qualità più belle della sua anima.
Si tratta di una modalità di comportamento che rischia di essere più utile alla comunità che alle persone affettivamente vicine, ed è pericolosa, perché lo sforzo che questa donna richiede a se stessa è altissimo. Tutto ciò la rende talvolta incapace di comprendere la fragilità altrui e rispettare i propri limiti.
“L’immagine di Atena, con l’elmo e la corazza, ci riporta all’iniziale riferimento a Freud. Il piccolo sintomo, così estraneo alla visione normativa dell’Io, è la crepa nella struttura che fai incrinare tutte le nostre immagini normative di come dovremmo essere… E’ la falla fatale, appunto il Fato, Necessità, che afferra la nostra anima a dispetto di tutti gli scudi che la previdenza è pronta a impugnare contro di lei.” ***
In poche righe, James Hillman sintetizza la storia di Fiona-Atena, anticipando la conclusione della vicenda.
Il sintomo, il disturbo fuori luogo, non pianificato, in questo caso l’incontro con il ragazzo infermo, irrompe nella sua vita con una valenza dolorosamente salvifica.
La tragedia è terribile, ma la corazza si è finalmente incrinata, ora Atena è libera di soffrire, di piangere e soprattutto di “sentire” il proprio dolore e dunque condividerlo con chi ha al suo fianco.
Potremmo essere di fronte ad un autentico processo di integrazione, Fiona ora ha visto in sé le qualità morbide ed istintive che rinnegava, pur inconsapevolmente continuando a nutrirla con il suo pianoforte. Adeso, con questa parte riscoperta, potrebbe riequilibrare gli aspetti più rigidi e normativi del proprio carattere. Fiona forse non sarà più costretta a scegliere fra la mente e il cuore.
Conclusione
Due donne, Joan e Fiona, apparentemente opposte, che sono accomunate da uno stesso dramma: il sacrificio della propria essenza sull’altare dei valori patriarcali; per Era l’istituzione matrimoniale e la famiglia, per Atena, l’Ordine Costituito e la Norma.
Le loro storie possono insegnarci che quanto assorbiamo come modello inevitabile, in realtà non lo è affatto!
Noi possiamo sempre cercare un’altra strada che è quella di accogliere la totalità di noi stesse, senza privarci di parti che ci insegnano a disprezzare, ma che spesso sono proprio le nostre più grandi risorse.
Un abbraccio circolare. Che Estia sia con voi.
Marisa Raggio
I Fiori e le Dee
Note:
* Figure del mito, pag. 63, Adelphi Edizioni
**Ibidem
***Ibidem
13 Ott 2018
Penso che il fine ultimo di questa ricerca e di questo “impegno” che condivido con diverse donne, sia quello di “guarire noi stessi” citando Edward Bach.
Personalmente da lì sono sempre partita, sia con i Fiori, che con il mio lavoro sul Femminile: se non mi fossi sentita ammaccata e ferita, probabilmente non avrei neanche iniziato…
Gli approcci possono variare, gli strumenti anche, ma il fine vero è quello della guarigione di noi stesse.
Perseguire tale obiettivo, non è, come ci hanno sempre insegnato, una manifestazione di egoismo, ma piuttosto, la affermazione di un diritto: il diritto alla Gioia.
Questo significa sviluppare un’inevitabile attenzione al proprio “sentire”, imparando ad ascoltarci, anche quando quello che ci arriva è imbarazzante e doloroso. Certamente la guarigione è un traguardo che richiede sforzo, perseveranza e impegno, ma forse abbiamo un’altra scelta?
“Guarire”, è qui inteso nel senso più ampio, non solo di guarigione fisica individuale, ma anche emozionale, spirituale e collettiva.
Si guarisce magari un pezzetto per volta, con una lentezza talvolta sconfortante, ma tutte noi abbiamo il diritto/responsabilità di impegnarci in questa direzione.
Sì, anche Responsabilità, sì, anche nei riguardi degli altri, perché la nostra Gioia è soprattutto la fiaccola che portiamo nel mondo, donando un po’ di luce, dapprima a chi ci sta più vicino e poi a tutti gli altri.
Ci hanno insegnato la frase: “ crescete e moltiplicatevi”, io la vorrei parafrasarla in: ”cresciamo e illuminiamo”.
Dunque, a questo devono servire incontri e condivisioni: aiutarci reciprocamente a stare meglio, sostenendoci nell’impegno a curare il nostro corpo, e a curare le ferite del cuore e dell’anima che oscurano e appesantiscono la vita di tutti i giorni.
E questo è un impegno sacro che onora, come ci insegna Bach, “la scintilla divina” che è in ognuna/o di noi.
Il fatto che le donne per millenni siano state soggiogate e svalutate, oltre alla loro intrinseca essenza femminile che, come sappiamo, le rende più affini al concetto di cura e pietas, ci semplifica il compito. L’oppressione annichilisce e devasta, ma può anche rendere gli oppressi più resistenti e consapevoli.
Anche per tali ragioni, siamo principalmente noi donne l’avanguardia di questo cammino, siamo noi, come Persefone, che rechiamo la fiaccola. Siamo noi che possiamo contribuire a dissipare l’angoscia e il terrore per l’ineluttabile mortalità umana, sostituendo alle tenebre una tenace volontà di godere dei piccoli-grandi doni che ogni giorno riceviamo: le foglie d’autunno, la prima rosa, il profumo del pane, l’acqua fresca del mare, la risata di una persona cara, le fusa del gatto, il naso umido dei cani, l’entusiasmo ancora intatto dei bambini… e poi la musica, un bel libro… e..e…
Proviamoci insieme ne vale la pena.
Un abbraccio circolare a tutte e a tutti voi.
Grazie a Adriana, Dalila, , Francesca, Luisella, Mimma, Paola, Sonia, Susanna.
Marisa Raggio I Fiori e le Dee
25 Set 2018
E finalmente Zeus, sempre preoccupato delle ritorsioni violente della moglie, decise, per una volta, di fare la cosa giusta: i suoi due figli, quella coppia bellissima di gemelli, avevano diritto di stare nell’Olimpo, proprio come gli altri dei.
Sì, erano davvero due bambini perfetti, il maschietto biondo e solare e la femmina con quello sguardo fiero.
Così mettendosi la bimba sulle ginocchia per vezzeggiarla, colmo di tenerezza le disse:
“Piccola Artemide, chiedimi qualsiasi cosa e il tuo papà te la darà”
Certo il grande Zeus, signore degli dei e degli uomini, non si sarebbe mai aspettato da quel soldo di cacio una simile risposta:
“Padre, ti chiedo un arco e una faretra piena di frecce…e il permesso di andare ovunque mi vada con le mie amiche e… soprattutto, voglio la libertà, il diritto di non sposarmi!”
Zeus, riconoscendo la determinazione negli occhi di quella ragazzina selvatica, capì che sarebbe stato inutile ogni tentativo di farle cambiare idea e dovette accettare una figlia incorreggibilmente zitella.
Questa storiella, ispirata al mito greco, fa sempre molto ridere le bambine. Tuttavia, nonostante la semplicità, conserva in nuce alcuni degli attributi fondamentali della dea Artemide, signora dei luoghi selvaggi, protettrice delle partorienti, che presso i Romani , con il nome di Diana, si fuse sincreticamente con una antica dea italica protettrice dei boschi e degli animali selvatici. Il principio femminile associato a queste divinità è complesso ed è estremamente attivo in molte coscienze femminili.
Infatti Artemide esercita fascino e grande ammirazione ogni volta che le donne si accostano ai miti che la riguardano. Riflettere sui motivi per cui gode di un così grande prestigio fra le donne moderne, significa aggiungere un pezzo alla conoscenza di noi stesse e della nostra società.
Marisa Raggio
I Fiori e le Dee
4 Feb 2018
Ragazze, lo so che la maggior parte di voi si vede come una novella Artemide o vorrebbe essere così. Tutte noi la ammiriamo!
Quale rappresentazione archetipica incarna meglio il modello sbandierato dai media, se non “Artemide la Coraggiosa”?
Molti dei suoi attributi ci affascinano: le belle e lunghe gambe scattanti, la foresta, la luna, le ninfe fedeli…
Persino un fratello bello come il Sole, Apollo, da utilizzare come complice in caso di necessità..e poi via, ognuno per la propria strada…
Che bella storia! Il web pullula di immagini accattivanti di Artemide, ritratta come una sorta di super-eroina, poco vestita e palestrata!
Sogniamo pure, ma, come sempre, una lettura superficiale del mito può portare fuori strada.
Millenni di società patriarcale hanno innestato nel profondo di noi un altro modello, oggi meno prestigioso, ma molto più reale e diffuso fra tutte le donne: Era, la moglie.
Questa incarnazione archetipica, in realtà poco amata dalle donne del XXI° secolo, di fatto è molto presente in ognuna di noi, e proprio perché rinnegata, tende a fare danni, fino a quando non riusciremo ad accettarla ed integrarla.
Non facciamoci illusioni, Il sogno del Principe Azzurro è più forte di qualsiasi altro mito e profondamente incistato nel nostro inconscio. Inutile rifiutarlo e negarlo, impariamo a guardarlo, onestamente riconosciamo quanta Era è in noi e proviamo ad onorarla adeguatamente. Ci potrà essere utile…
Facciamo finalmente sì che le due dee, Artemide ed Era, non più avversarie, si abbraccino… almeno nella nostra psiche.
Marisa Raggio
6 Gen 2018
Questo titolo rappresenta è un po’ il succo della breve spedizione che mi ha condotto in territorio etrusco.
Già, perché gli Etruschi sono diventati per me, da un po’ di tempo, una sorta di “fissazione”.
Mi sono così ritrovata ad “unire i puntini” fra il pensiero d Marija Gimbutas, la lettura delle commedie di Plauto, commediografo della antica Roma, e alcuni fra i più noti miti ellenistici.
Secondo Marija Gimbutas (qui semplifico per motivi di spazio), nella Europa neolitica, esisteva una società agricola, sostanzialmente egualitaria, focalizzata sul culto della Dea, dove le donne occupavano posizioni di pari dignità rispetto agli uomini. Nell’arco di tremila anni, le ripetute invasioni indoeuropee ne cancellarono le tracce , imponendo un modello androcentrico che sostituì la Dea con il culto di divinità maschili guerriere, creando una società fortemente gerarchizzata in cui la donna era considerata “inferiore”, proprietà dell’uomo e relegata al ruolo di serva, fattrice e oggetto sessuale. Da allora le cose non sono molto migliorate.
Mi piace però pensare che attraverso i millenni, la Dea cacciata dalla porta, abbia sempre trovato il modo di rientrare dalla finestra, sotto molteplici camuffamenti.
L’arte e i miti, se valutati attentamente, ci segnalano tracce della sopravvivenza del suo culto e di conseguenza sporadiche realtà che fanno pensare ad una maggiore considerazione della donna.
Studiando Plauto nei tempi ahimè remoti dell’università, mi aveva colpito che fra le tante “grasse“ battute che infarcivano le sue commedie si facesse più volte riferimento alle donne etrusche come femmine lascive, ben lontane al modello della pudica e sottomessa matrona romana.
Poi negli anni si sono aggiunte tessere al puzzle.
Le origini del popolo etrusco rappresentano uno dei misteri più intriganti della archeologia italiana. Oggi si tende prevalentemente a pensare che si tratti di una popolazione autoctona, sicuramente non di origine indoeuropea. Dunque potrebbe rappresentare una sacca di resistenza, sopravvissuta come un fossile vivente, della antica società pre-patriarcale, in cui la condizione di uomini e donne era sostanzialmente alla pari.
Le testimonianze degli storici romani, sempre pronti a denigrare la libertà delle donne etrusche, e i numerosi affreschi policromi presenti nelle necropoli, sembrano confermarlo. Per greci e latini, una società che riconosceva l’autonomia e la dignità della donna, nonché il suo diritto al piacere e all’erotismo, che non temeva di rappresentare coppie di maschi che banchettavano come coniugi e donne che si davano piacere a vicenda, rappresentava una “mostruosità”.
Ciò però non ha impedito ai romani di assorbire molti elementi della cultura etrusca, fra cui l’Arte della divinazione, che, praticatata da Auguri e Aruspici era infatti chiamata arte etrusca. Nei secoli successivi, denigrata, svilita, ma mai estinta, la divinazione, sotto diverse forme, è in gran parte retaggio femminile e talvolta di maschi dai caratteri “effeminati”.
Non pretendo di entrare in valutazioni archeologiche, la mia ricerca nasce solo dal mio appassionato desiderio di ritrovare segni della sopravvivenza del culto della Dea e condividere con voi, che evidentemente avete il mio stesso interesse, una serie di riflessioni che ci riportano all’obiettivo di questa ricerca : riconoscere la sacralità del principio femminile presente in ogni donna e in ogni uomo.
Per ora siamo appena partite, lasciandoci sedurre da questi affreschi vivaci, fantasiosi e spesso sorprendentemente “scandalosi” per la mentalità corrente. La ricerca continua…. seguiamo le orme che la Dea ha lasciato nel suo passaggio attraverso i millenni….
Marisa Raggio
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