Riflessioni Archives - Pagina 2 di 3 - Il Canto di Estia di Marisa Raggio

SAINT JOHN’S WORTH: UNA FIAMMELLA NELLA NOTTE INVERNALE

SAINT JOHN’S WORTH: UNA FIAMMELLA NELLA NOTTE INVERNALE

Luce e tristezza intesa come flessione verso il basso del tono dell’umore, sono strettamente connesse. Mi è capitato spesso di ascoltare clienti che raccontavano di vivere male il ritorno all’ora solare e la conseguente riduzione delle ore di luce.

Non per tutti è così, altri amano le lunghe notti autunnali che favoriscono ritiro e raccoglimento.

Antropologi e psichiatri hanno versato fiumi d’inchiostro per descrivere il disturbo depressivo stagionale SAD, largamente diffuso fra le popolazioni nordiche. In particolare fra gli Inuit (Eschimesi) le diagnosi di depressione e il tasso di suicidi riguardano un numero impressionante di individui.

Si è sempre dato per scontato che le notti nordiche favoriscano il crollo dell’umore. Noi mediterranei fatichiamo anche solo a concepire una notte della durata di tre mesi.

Solo di recente ci si è interrogati sul fatto che proprio fra gli Inuit la diffusione di questo disturbo può non essere legata esclusivamente alla mancanza di luce, ma è aggravata dallo stile di vita e dalle difficoltà relazionali.

La vita, al di là del circolo polare artico è molto dura e la sopravvivenza di questo popolo è stata garantita soltanto dalla loro incredibile forza e da una vita comunitaria intensa e regolata in modo rigido. La stretta vicinanza fisica nei mesi più disagevoli è inevitabile e ha come contraltare un grande riserbo riguardo alle proprie emozioni. Fra gli Inuit si ritiene sconveniente manifestare le proprie emozioni o dimostrare interesse per quelle degli altri.

Dunque uccide di più l’oscurità o la mancanza di comunicazione emotiva? Luce, calore, sentimenti sono, a ben guardare, tutti termini che analogicamente ci conducono alla sfera affettiva.

Nelle ore buie durante i colloqui amo accendere una piccola candela. Solo di recente ho compreso che quella fiammella non è semplicemente un modo per rompere l’oscurità dei pomeriggi invernali, ma rappresenta anche l’intimità empatica che in quell’ambito si viene a creare fra me e il cliente.

Continuando con le analogie, per gli Antichi Greci il risveglio della Natura, dopo il sonno invernale, era simboleggiato dalla gioia della dea Demetra che correva incontro alla sua amata figlia Persefone finalmente ritornata dalle tenebre del mondo infero. La forza del loro abbraccio rappresenta ancora oggi efficacemente il potere dell’Amore che scioglie il gelo e l’oscurità.

Quando rifletto sulla polarità luce-buio, la prima essenza floreale che mi viene in mente è Saint John’s Worth, essenza floreale californiana F.E.S. nota da noi come Iperico (ipericum perforatum) e comunemente conosciuto come Erba di San Giovanni. Si tratta di una pianta di un giallo luminoso, dalle virtù risanatrici decantate già dal greco Ippocrate.

Nella cultura popolare l’Erba di San Giovanni è considerato un rimedio magico, utile per scacciare gli spiriti maligni, infatti, in molte zone di campagna è ancora chiamato ”Scaccia diavoli”.

L’olio estratto dal fiore e dalle foglie viene utilizzato per diversi disturbi e soprattutto in caso di ustioni. Questa pianta, sia per il succo rosso ed il colore dei suoi petali, che per i suoi impieghi, scottature e irritazioni, è associabile all’elemento fuoco, al calore e quindi alla luce.

Dunque non lesiniamo alle persone che lamentano uno stato d’animo abbattuto e malinconico, tra le altre essenze floreali, anche le gocce di Iperico, una formula ancora più efficace se offerta insieme al calore della nostra Accoglienza e del nostro Ascolto.

Marisa Raggio, “I Fiori e le Dee”

Pubblicato sul notiziario della Unione di Floriterapia di Milano

 

I WORKSHOP DEL LABIRINTO DELLE 7 DEE

I WORKSHOP DEL LABIRINTO DELLE 7 DEE

I miti greci rappresentano efficacemente aspetti psichici comuni a tutta l’umanità.
Il principio femminile presente in ognuno di noi, sia donna che uomo, è una parte fondamentale  delle nostre dinamiche emozionali e logico-razionali, quindi le influenza potentemente, spesso senza che noi ce ne rendiamo conto.
Emozioni, rimuginìi inconfessabili, comportamenti impulsivi, che spesso ci confondono creandoci imbarazzo e sofferenza, sono mirabilmente espressi nelle figure mitologiche del pantheon greco-romano. Riuscire ad oggettivarli e comprenderli ci regala una maggiore consapevolezza di noi stessi e di “come funzioniamo”.
Capire “come funzioniamo” ci permette anche di trasformare i meccanismi che ci angustiano ed agiscono nella nostra quotidianità, complicandola ed appesantendola.
Il principio femminile, che da millenni la società patriarcale ha scelto di svalutare, sopravvive in noi  come una forza interiore, troppo spesso non adeguatamente onorata e riconosciuta, quindi inevitabilmente sotto- utilizzata.  Tale principio lo percepiamo ancora vitale ed attivo  nella antica narrazione delle dee dell’Olimpo greco e nei miti ad esse collegati.

WORKSHOP INTRODUTTIVO
Durante il workshop introduttivo incontriamo e studiamo a fondo queste figure mitologiche, le loro caratteristiche e le affascinanti storie di cui sono protagoniste, cercando di ascoltare come tutto ciò risuoni in noi. Inoltre collochiamo in un quadro storico e sociale il percorso attraverso il quale l’Archetipo Femminile è sopravvissuto, osservando attentamente come è giunto, più o meno camuffato, ma intatto, fino a noi. Nella condivisione emergeranno temi personali irrisolti o nascosti che collegheremo ad alcune essenze floreali di Bach e del sistema californiano, permettendoci di affrontarle iniziando ad armonizzarle.

AGIRE LA DEA
Nei successivi due laboratori di approfondimento, fatta “amicizia” con le  principali dee della mitologia classica, si tratterà di percepirle sempre più intimamente, relazionandoci con le parti di noi che esse rappresentano.Questo viene definito: “AGIRE LA DEA”.
Attraverso diverse tecniche che variano a seconda dei gruppi di lavoro e delle persone, ogni partecipante metterà in scena, con i mezzi che preferisce (o anche solo con il silenzio) una propria rappresentazione di quelle dee le cui caratteristiche maggiormente riconosce in se stesso. Tale azione, che conduce ad una maggiore consapevolezza delle proprie dinamiche emotive e relazionali, offre l’opportunità per svelare aspetti di noi che non volevamo vedere, trasformando così comportamenti  reiterati che ci fanno male.
Il laboratorio si articola in due distinte giornate, in cui si lavorerà su due distinti gruppi di dee che presentano polarità particolarmente interessanti:
Primo incontro: Artemide/Era e Atena/Afrodite
Secondo incontro: Demetra/Persefone ed Estia
Marisa Raggio

WORKSHOP INTRODUTTIVO                                                                                                                                                                                                                            Domenica 20 maggio ore 9:30 / 18

AGIRE LA DEA (Prima Parte)
Sabato 24 marzo
ore 9:30 / 18

AGIRE LA DEA (Seconda Parte)
Domenica 18 novembre
ore 9:30 / 18

Presso presso la sede di
Lighthouse CromoRañj R. Ravizza
Via Eupili, 10, 20145 Milano

Donne Fiori e Sessualità

Donne Fiori e Sessualità

Per vivere la propria sessualità serenamente è indispensabile partire dell’Amore per se stessi.

Questa esperienza ci viene offerta in “dotazione” nei primi anni di vita, attraverso lo sguardo amorevole di nostra madre. Se questo dono è mancato, l’Amore per sé stessi si può costruire: una conquista faticosa, ma possibile, partendo proprio dall’Amore per il nostro corpo.

Se mi trovo orribile, sbagliata, se penso che i miei genitali siano una parte “sporca” di me, difficilmente riuscirò a vivere la mia sessualità serenamente, a sentirmi in diritto di ricevere e dare piacere.

Edward Bach lo insegna, il primo dovere che abbiamo è nei riguardi di noi stessi.

Certo, penseranno alcuni, ma lui si riferiva alla nostra parte più alta, al nostro sé superiore, la scintilla divina che è in noi.

Possiamo rispondere con il principio alchemico: “ come in alto così in basso”, ogni parte di noi è sacra, anche quella che comprende desideri e pulsioni spesso considerati abietti, sporchi , scurrili.

I maschi imparano presto a fare i conti con i loro genitali, da ragazzini li disegnano ovunque, li confrontano con gli amici, ne parlano apertamente, usano nomignoli divertenti per indicarli. La masturbazione maschile è diffusamente considerata un passaggio obbligatorio nella formazione del giovane maschio, se ne parla e si fanno battute su questo tema, le mamme possono essere in imbarazzo, ma glissano: “è la natura” si mormora…

Quando parliamo di masturbazione femminile, invece, sparisce la voglia di scherzare e subentra l’imbarazzo, l’argomento spesso viene definito più “delicato”.

In realtà tutta la sessualità femminile è più complessa, è una faccenda interna, intima, poco visibile.

Solo in un’epoca straordinariamente recente si è cominciato a parlare del diritto della donna al piacere. Un principio che resta comunque circoscritto alle fasce più progressiste e laiche delle società occidentali, in una grande parte del mondo, infatti, resta un gigantesco tabù.

Troppe donne ancora oggi vivono il sesso come un problema privato che le angoscia e talvolta spaventa, nonostante le battaglie per la parità dei sessi e l’emancipazione femminile.

Apparentemente, le cose sono enormemente cambiate, tuttavia i nuovi modelli imposti dai media restano spesso oppressivi per il mondo femminile.

Dopo il femminismo, quali modelli stanno cercando di imporci i media? La WONDER WOMAN perfetta, che indossa la taglia trentotto, il tacco dodici tutto il giorno, ha tre frugoletti biondi e la sera conserva l’energia per trasformarsi in una maliarda in auto reggenti che gratifica il partner con i suoi orgasmi plurimi, probabilmente falsi come le sue labbra carnose.

La realtà delle donne che incontro è “appena, appena” diversa… grazie ai media il letto è diventato un set cinematografico in cui l’obiettivo diventa la fotogenia, non la condivisione dell’eros con il partner. Difficile raggiungere l’orgasmo se hai paura di fare “brutta figura”, difficile gioire e provare piacere se sei spaventata, tesa, preoccupata e vivi l’amplesso come una performance.

Oggi, la a prima paura di una donna rispetto alla sessualità è di essere SBAGLIATA, soprattutto di avere un corpo sbagliato.

Le difficoltà legate alla sessualità sono dunque molteplici e sorprendentemente in ascesa a dispetto della liberalizzazione dei costumi.

Calo o assenza del desiderio, anorgasmia, sono molto diffusi. Così come all’opposto, compulsività sessuale, nella ricerca di un appagamento che si definisce erotico, ma che spesso nasconde paura, solitudine, disperazione.

L’argomento è complesso e spesso assume sfumature e implicazioni diverse per ogni donna.

La Floriterapia ci insegna a sfuggire da facili generalizzazioni collegate al “sintomo”, tuttavia ogni qualvolta si parla di sessualità un fiore non può mai mancare: CRAB APPLE. Questo fiore appare in primavera come una nuvola bianca, appena sfumata da tocchi rosati che ne accentuano la linda bellezza.

Quando siamo sopraffatte dalla sensazione di essere repellenti, inadatte, quando prende il sopravvento la vergogna riguardo a “difetti” fisici o caratteriali, il timore di mostrarci senza veli, Crab Apple ci rassicura: “ Tu vai bene esattamente così come sei, sei pulita, bella e fai legittimamente parte del Creato”.

Quando appare evidente il dissidio spirito-materia, corpo-mente, alto-basso, ho constatato che è molto efficace un’essenza del sistema californiano: EASTER LILY, Lilium longiflorum, un giglio bianco molto simile al nostro Lilium candidum, che nell’iconografia cristiana è un simbolo di purezza.

Questa candida liliacea, è utile quando tutto ciò che riguarda gli aspetti corporei e sensuali della vita viene svalutato a favore di una idealizzazione degli elementi intellettuali e spirituali. Siamo di fronte a quella che io chiamo “struttura gotica” della personalità, che talvolta si esprime anche nell’aspetto esteriore: magrezza, alterigia, difficoltà a cedere alla risata, grande intensità mentale, talvolta una postura che ricorda proprio il fiore che da noi viene anche chiamato giglio di San Giuseppe.

Queste donne non si abbandonano, ma piuttosto “cedono” alla sessualità e lo fanno a prezzo di grandi sensi di colpa che possono spingerle verso comportamenti eccessivi, talvolta autolesionisti, rischiosi per la loro integrità fisica ed emotiva.

Easter Lily ci insegna che ogni parte di noi è Sacra e, concludendo con le parole di Patricia Kaminski, ci dona la consapevolezza che :

“Posso armonizzare in me sessualità e spiritualità in un tutt’uno Sacro”.

Marisa Raggio

pubblicato sulla Newsletter di Unione di Floriterapia

www.unionedifloriterapia.it

 

Tra gli Etruschi sulle tracce della Dea

Tra gli Etruschi sulle tracce della Dea

Questo titolo rappresenta è un po’ il succo della breve spedizione che mi ha condotto in territorio etrusco.                                                                                                                   

Già, perché gli Etruschi sono diventati per me, da un po’ di tempo, una sorta di “fissazione”.
Mi sono così ritrovata ad “unire i puntini” fra il pensiero d Marija Gimbutas, la lettura delle commedie di Plauto, commediografo della antica Roma, e alcuni fra i più noti miti ellenistici.
Secondo Marija Gimbutas (qui semplifico per motivi di spazio), nella Europa neolitica, esisteva una società agricola, sostanzialmente egualitaria, focalizzata sul culto della Dea, dove le donne occupavano posizioni di pari dignità rispetto agli uomini. Nell’arco di tremila anni, le ripetute invasioni indoeuropee ne cancellarono le tracce , imponendo un modello androcentrico che sostituì la Dea con il culto di divinità maschili guerriere, creando una società fortemente gerarchizzata in cui la donna era considerata “inferiore”, proprietà dell’uomo e relegata al ruolo di serva, fattrice e oggetto sessuale. Da allora le cose non sono molto migliorate.
Mi piace però pensare che attraverso i millenni, la Dea  cacciata dalla porta, abbia sempre trovato il modo di rientrare dalla finestra, sotto molteplici camuffamenti.
L’arte e i miti, se valutati attentamente, ci segnalano tracce della sopravvivenza del suo culto e di conseguenza sporadiche realtà che fanno pensare ad una maggiore considerazione della donna.

Studiando Plauto nei tempi ahimè remoti dell’università, mi aveva colpito che fra le tante “grasse“ battute che infarcivano le sue commedie si facesse più volte riferimento alle donne etrusche come femmine lascive, ben lontane al modello della pudica e sottomessa matrona romana.
Poi negli anni si sono aggiunte tessere al puzzle.
Le origini del popolo etrusco rappresentano uno dei misteri più intriganti della archeologia italiana. Oggi si tende prevalentemente a pensare che si tratti di una popolazione autoctona, sicuramente non di origine indoeuropea. Dunque potrebbe rappresentare una sacca di resistenza, sopravvissuta come un fossile vivente, della antica società pre-patriarcale, in cui la condizione di uomini e donne era sostanzialmente alla pari.
Le testimonianze degli storici romani, sempre pronti a denigrare la libertà delle donne etrusche, e i numerosi affreschi policromi presenti nelle necropoli, sembrano confermarlo. Per greci e latini, una società che riconosceva l’autonomia e la dignità della donna, nonché il suo diritto al piacere e all’erotismo, che non temeva di rappresentare coppie di maschi che banchettavano come coniugi e donne che si davano piacere a vicenda, rappresentava una “mostruosità”.
Ciò però non ha impedito ai romani di assorbire molti elementi della cultura etrusca, fra cui l’Arte della divinazione, che, praticatata da Auguri e Aruspici era infatti chiamata  arte etrusca. Nei secoli successivi, denigrata, svilita, ma mai estinta, la divinazione, sotto diverse forme, è in gran parte retaggio femminile e talvolta di  maschi dai caratteri “effeminati”.

Non pretendo di  entrare in valutazioni archeologiche,   la mia ricerca nasce solo dal mio appassionato desiderio di ritrovare segni della sopravvivenza del culto della Dea e condividere con voi, che evidentemente avete il mio stesso interesse, una serie di riflessioni che ci riportano all’obiettivo di questa ricerca : riconoscere la sacralità del principio femminile presente in ogni donna e in ogni uomo.
Per ora siamo appena partite, lasciandoci sedurre da questi affreschi vivaci, fantasiosi e spesso sorprendentemente “scandalosi” per la mentalità corrente. La ricerca continua…. seguiamo le orme che la Dea ha lasciato nel suo passaggio attraverso i millenni….

Marisa Raggio

 

La Dea in Inverno non dorme

La Dea in Inverno non dorme

L’inverno nelle società contadine era un periodo duro, ma anche di forzato riposo, di lunghe notti al riparo e scarse ore di luce. Al nord dell’Europa si viveva al buio totale per lunghissimi periodi. Le persone vivevano a stretto contatto fra loro, in una realtà sospesa, in attesa che la stagione più crudele passasse e la natura riprendesse vita.
In questo contesto, la dimensione sottile, spirituale o, come ancora dicono in molti erroneamente, le “superstizioni”, diventavano un importante momento di supporto per la psiche.
La potenza della Dea, signora della vita e della morte, tornava come consolatrice e protettrice dalle minacce di una natura ostile e pericolosa. Il suo culto antichissimo, sopravvissuto non nei secoli, ma nei millenni, era rappresentato nel mondo contadino dalle narrazioni di queste “Signore dell’Inverno” che, nonostante, le diversità geografiche e la varietà di caratteri esteriori, non ci stancheremo mai di ripeterlo, sono tutte manifestazioni dell’Archetipo originario: la Dea Madre.

Auguri a tutte/i noi per un luminoso giorno di Santa Lucia!

maria raggio

 

La vendetta della rabbia negata.

La vendetta della rabbia negata.

Nei giorni intorno al solstizio d’estate, quando la Luce vince sull’oscurità e il sole colonizza la notte, una riflessione su ciò che analogicamente colleghiamo all’elemento Fuoco sorge spontanea.
L’emozione che fra tutte si può maggiormente associare a questo elemento è la rabbia.

La rabbia è un’emozione buona o cattiva?
Da bambine molte di noi sono state educate a pensarla così: ogni volta che contattavamo un’emozione forte dovevamo decidere cosa farne, stabilire se potevamo concederci di viverla oppure “ingoiarla” e dimenticarcene.
Le generazioni successive alla mia hanno potuto manifestare più apertamente le loro emozioni, ma se i moderni genitori sono più inclini a tollerare le urla e le scenate delle figlie femmine, oggi la società non è ancora pronta ad accettare la “donna arrabbiata” senza etichettarla come megera o, peggio, isterica.

Eppure questa emozione contiene implicazioni ricche e complesse. La rabbia infatti è come il fuoco, può distruggere e uccidere, ma è anche dotata di un potere in grado di muovere e trasformare ciò che appare stagnante ed immutabile.
Siamo talmente imbarazzate dalla nostra rabbia che quando la sperimentiamo nei riguardi della persona amata, se non riusiamo a reprimerla, la “deviamo” verso qualcuno o qualcosa che ci sta meno a cuore.
Il partner ci tradisce? La colpa è dell’altra: “la zoccola”.
L’amica del cuore ci delude? Certo, colpa del suo partner che non la rende felice e la mette contro di noi.
Il figlio va male a scuola? Colpa dell’insegnante.
Alla fine abbiamo fatto una tale confusione da non sapere più che cosa era quella forza imbarazzante e vitale che ci aveva così spaventato e che ora, imprigionata, tende a fermentare, producendo rancore, risentimento, gelosia, autocommiserazione, e molto altro.
Insomma quell’energia potente e propulsiva si è trasformata nelle nostra gabbia, una forza che non ci spinge affatto al cambiamento, ma ci blocca.
Per chi conosce i Fiori di Bach, la traduzione di questa dinamica è immediata: da Holly a Willow.

Edward Bach nei suoi trentotto rimedi non aveva certo trascurato l’emozione della rabbia che vedeva ben rappresentata dall’Agrifoglio, Holly per gli anglofoni. Questa pianta, insieme al vischio, è considerata sacra da tempi remoti presso tutti i popoli del Nord Europa ed utilizzata come protezione contro il male, nelle lunghe notti che raggiungono la massima espansione e cominciano a declinare con il solstizio d’inverno.
Holly infatti non è una figlia dell’oscurità, bensì la messaggera di quella Luce che già sta sostituendo alle tenebre.
Alla fine di giugno con il solstizio estivo, il giorno più lungo dell’anno, l’apogeo della luce segna anche il suo declino e la notte ricomincia ad avanzare. Così in una incessante alternanza, in un ciclo che rappresenta l’essenza stessa della Vita.
Gli antichi Celti sostenevano che fosse questo il momento in cui decadeva il regno del Re Agrifoglio, per i successivi sei mesi sarebbe stato il tempo del Re Quercia, Oak, un albero sacro dai cui fiori Bach ha ricavato un altro rimedio, ma questa è un’altra storia…

Ecco dunque che così come la notte più lunga contiene già in potenza il trionfo della luce, così la nostra rabbia, questa emozione violenta, pericolosa, ma anche terribilmente vitale, incarnata da Holly nella sua manifestazione più virulenta, contiene già in sé il germe dell’Amore.
Scrive Margaretha Mijnlieff, una delle prime ed autorevoli rappresentati della Floriterapia in Italia:
“Holly permette di vedere che si ha un grande potenziale di vero amore: quel sentimento profondo che ci protegge da ogni influsso esteriore negativo, e ci dà la forza di accettare ciò che ci circonda.
Holly promuove anche l’amor proprio, in modo da farci accettare come siamo e avere la consapevolezza che siamo belli così, come siamo.” (*)

E’ un grande lavoro quello che Holly ci aiuta a fare: “integrare”, la nostra rabbia ovviamente non significa alimentarla o andarne fieri, ma trovare il coraggio per guardarla e comprendere che cosa l’ha scatenata. Quando rifletto su questo, mi appare sempre l’immagine del cinghiale che diventa davvero pericoloso solo quando è braccato o ferito.

Ci hanno addestrato ad “ingoiare il rospo”: Holly, al contrario ci spiega che questo rospo, se siamo in grado di guardarlo bene ed infine liberarlo in uno stagno, chissà mai che non abbia qualcosa da insegnarci riguardo al nostro dolore.

Da Holly a Willow
Cosa succede quando tale rabbiosa sofferenza viene repressa e ignorata? Il rospo in questione resta piazzato sullo stomaco come un cibo indigesto.
A questo proposito è interessante che D. Krämer sostenga:
“La collera trattenuta crea iperacidità di stomaco…se qualcosa non è digeribile, pesa sullo stomaco, cosa che accade sia nel caso di alimenti che non possono essere trattati, sia in caso di conflitti e problemi psichici…essi vengono rimuginati, ci si riflette, si analizza, si valuta.” (**)

Dal punto di vista emozionale può crearsi quello che Bach fotografa come uno stato Willow, rimedio ricavato dai fiori del Salice (Salix Vitellina):
“Per coloro che hanno sofferto a causa delle avversità o della sfortuna e trovano difficile accettarlo senza lamentarsi e senza provare risentimento, poiché giudicano la vita in base al successo. Sentono di non avere meritato una prova così grande, Lo trovano ingiusto e ne sono amareggiati. Spesso accade loro di provare un interesse minore verso quelle cose della vita che prima facevano loro piacere.” (***)

La rabbia esplosiva e vitale dello stato Holly è ormai scomparsa lasciando il posto ad una emozione più nascosta che tende a cronicizzarsi ed appesantire la quotidianità.

Holly e Willow sono entrambi rimedi che hanno a che fare con il risentimento e la “ira-scibilità”; nello stato Willow, tuttavia, troviamo una minore esteriorizzazione dell’emozione che è fortemente marcata dall’autocommiserazione e dall’amarezza.
Il salice vitellina è un albero che i contadini sfruttano brutalmente, lo potano in modo drastico, utilizzando i suoi rami flessibili in molti modi:
“E’ questa flessibile tolleranza che caratterizza la condizione Willow positiva.Poiché è stato tanto maltrattato come albero e ha sofferto tali abusi, può amareggiarsi e covare risentimento….
Questa condizione viene migliorata dallo sforzo della volontà positiva e dalla determinazione a superare le difficoltà della situazione.” (****)

Queste due essenze floreali hanno molto da offrirci, non esitiamo ad utilizzarle proprio quando scopriamo in noi stati emozionali che tendiamo a giudicare severamente come “sbagliati”. Ricordiamoci l’insegnamento di Bach che ci indica come all’interno del nostro “difetto” esista già la potenzialità per la sua trasformazione.

Marisa Raggio
I Fiori e le Dee

 

(*) M. Mijnlieff, La Floriterapia, edizioni Sanerebbe, Bologna. Pag 55

(**) D. Kramer, Nuove terapie con I Fiori di Bach, ed.Mediterranee. Pag 43-48

(***) Edward Bach, Le Opere Complete,macro Edizioni. Pag.73

(****) Julian e Martine Barnard, Le Erbe Curative di Edward Barnard,
FCE Natur

 

Il Solstizio d’Inverno

Il Solstizio d’Inverno

Ci siamo arrivati: il Solstizio d’Inverno porta l’oscurità, le notti più lunghe dell’anno.
“Il Sole, nel suo moto apparente, raggiunge il punto più basso del percorso sotto l’equatore celeste e delinea l’arco diurno più corto tra il Sud-Est e il Sud-Ovest, segnando così l’inizio della stagione invernale astronomica nell’emisfero boreale.”
Da sempre, a differenza degli animali, abbiamo avuto timore delle tenebre e la scoperta del fuoco ha significato l’inizio della consapevolezza del nostro essere “Umani”.
La cronaca ci riporta fatti che inducono a pensare che proprio noi, esseri umani, ci stiamo perdendo, affondando ed annichilendoci nel pantano di una cosiddetta “civilizzazione”, rivelandoci spesso stupidi e crudeli fra di noi e nei riguardi della stessa fonte della nostra esistenza, Madre Natura.
Il Solstizio d’Inverno, riconosciuto da sempre e da tutti i Popoli come un momento Sacro, ci offre l’opportunità, in questa fase di massima contrazione delle ore diurne, di raccoglierci all’interno della tana, all’interno di noi stessi, per affrontare un piccolo pezzo di quell’enorme lavoro rappresentato dall’incontro con la nostra Ombra, a condizione che gli esseri umani siano ancora in grado di entrare in sintonia con ritmi della Natura.
La polarità luce- tenebre, sole- ombra, interno-esterno, in questi giorni speciali ci incoraggia, ognuno per la sua piccola parte, a tenere accesa una fiammella, la luce della nostra “umanità”, quella stessa Luce che qualcuno chiama Amore, affinché le tenebre perdano la loro valenza minacciosa e finalmente armonizzate con il loro opposto ci offrano la speranza di una magnifica Rinascita.

“Le spighe di grano di Maruja”

“Le spighe di grano di Maruja”

Al Museo Tyssen di Madrid mi sono imbattuta in questa opera della pittrice surrealista spagnola Maruja Mallo: “El canto de las espigas”.

L’associazione tra questo quadro e Cerere, la divinità romana corrispondente alla Demetra greca, è immediata. Questa rappresentazione archetipica del principio femminile, sia nel mondo latino che in quello ellenistico, è associata alla maternità e al nutrimento.
I miti ci tramandano che fu proprio Demetra ad insegnare agli uomini la coltivazione del grano. Le due dee sono molto spesso raffigurate con spighe di grano nelle mani. Nel bacino del Mediterraneo questo cereale è considerato fin dalle origini l’alimento umano per eccellenza e al punto da rappresentare in molte religioni un potente simbolo del Sacro, basti pensare alla Eucarestia cristiana.

Maruja Mallo (1902-1995) ha ritratto in molte sue opere immagini riconducibili al principio femminile, lei amava essere definita un Mariscos (frutto di mare ) dell’arte, quindi una creatura del mare, un riccio o una conchiglia, attributi del femminile ben presenti nelle Madonne di Salvador Dalì.
..ma avremo ancora modo in questa sede di riflettere sull’Arte di Maruja.

Qui a sotto abbiamo un altra sua opera “La sorpresa del grano” che ritrae ancora le spighe di grano che spuntano dalla mano di una donna.

“La Natura, il Femminile e il dott. Bach”

“La Natura, il Femminile e il dott. Bach”

Il principio femminile appare ben più radicato del suo opposto/complementare principio maschile.

Il maschile è movimento e dinamicità (…non pensate adesso ai vostri mariti sul divano…), il femminile è invece staticità e radicamento, la casa ad esempio è collegata al principio femminile.

Le donne hanno un contatto con il sacro che è panteista*, collegato cioè alla forza vitale della Madre Terra. Per i maschi questo collegamento non è immediato, ma deve essere mediato da un approccio intellettuale, filosofico o iniziatico.

Le secrezioni corporee, sangue, latte, liquido amniotico, e i cicli ormonali che scandiscono le stagioni delle donne ne fanno creature “naturali”, profondamente collegate alle leggi che regolano il mondo della natura. Il maschio ha per compito la colonizzazione dei luoghi selvaggi: portatore del logos che civilizza, deve razionalizzare i fenomeni atmosferici, domando il mondo vegetale e animale.

La donna, volente o nolente, dalla pubertà è costretta ad essere profondamente consapevole dei cicli naturali ed ad essi si deve assoggettare entrando in sintonia con il ritmo della natura.

Nel rapporto con le risorse curative del mondo vegetale, le donne devono dunque compiere un passaggio in meno, la loro percezione è più immediata e questo potrebbe spiegare la loro remota tradizione erboristica.

Quindi il femminile (anche quello insito in ogni uomo) arriva prima, percepisce, intuisce dove si cela la proprietà risanatrice, ma è il maschile (presente in misura diversa in ogni donna) che raccoglie dati, elabora e crea una teoria.

Il mio pensiero va al dott. Edward Bach che l’agiografia ci descrive come un maschio alfa, un ricercatore, uno scienziato, un efficace paladino del logos. Eppure il metodo che ci ha lasciato nasce sì, dallo studio e dalla ricerca, ma anche (e vorrei dire soprattutto) dall’intuizione e dalla percezione sensitiva. Abbiamo quindi un uomo intelligente e stimato, socialmente ben inserito, che ad un certo punto della sua esistenza, come narra la sua biografia, sopravvive ad un “terremoto”. E’ legittimo pensare che un simile sconvolgimento lo abbia indotto ad incontrare e valorizzare  la propria “Anima”, nell’accezione junghiana del termine, e noi sappiamo di quale portentosa Anima si trattava!

Non stupisce che nella sua ultima e più importante fase di ricerca, quella collegata ai Fiori, fosse circondato da tante donne, qualcuno racconta come la gente del luogo lo chiamasse ” l’uomo dalle due mogli”. Colpisce come tale aggettivo fosse scevro da insinuazioni su presunti comportamenti lussuriosi. Fra quelle persone, la stima nel ”dottore” restava intatta, probabilmente alimentata dal fervore febbrile con cui Bach si dedicava alla sua missione, consapevole che il tempo a disposizione per portarla a termine stava per scadere.

*Panteismo: una concezione che vede il divino infuso in ogni elemento del cosmo e quindi nel mondo della natura. Questa concezione è comune a molte religioni e tradizioni religiose come l’Induismo, il Buddhismo, la Cabala. Appare nella filosofia occidentale fin dalle origini, e in diversi movimenti spiritualistici contemporanei.

 


“Afrodite”

“Afrodite”

VEDI, HO CIMBALI AI POLSI E ALLE CAVIGLIE,
DING DING,
ASCOLTA E NON SCATTARE ANCORA, ABBANDONATI A ME
COSI’ CHE SIA IL RITMO ABBAGLIANTE DEL MIO VENTRE ROTONDO
AD IMPRESSIONARE LA TUA PELLICOLA FREDDA.
(Marisa Raggio)

Afrodite è la Dea dell’Amore e della bellezza, il suo corrispondente romano è Venere, che comprende attributi di una divinità italica molto antica  venerata già come protettrice delle piante ornamentali e quindi dei luoghi coltivati ed ameni ed in senso più ampio della bellezza. Illustri autori* la accostano ad una divinità orientale Ashtoret o Astarte associata all’amore ed al piacere carnale.
Secondo il mito ellenico più noto, Crono spodestò il padre Urano castrandolo con un falcetto. I suoi attributi cadendo nel Mare Egeo lo fecondarono: dalla spume delle sue onde nacque  questa Dea di straordinaria bellezza.

Afrodite,  che si narra ebbe molti amanti e diversi figli, è descritta come  padrona di se stessa e delle proprie pulsioni erotiche. Sceglie infatti sempre autonomamente  i suoi amanti e non ha mai subito violenza nè è mai stata rapita  come era costume avvenisse fra le divinità femminili dell’Olimpo.

Lei è straordinariamente potente, punisce duramente chi osa trascurare il suo culto e disprezzare le leggi dell’Amore passionale. Non a caso,  fra le tante sue unioni, la più significativa è forse quella tempestosa con Ares, l’irruento Dio della guerra.

Per comprendere  meglio Afrodite abbiamo un mito alessandrino che, in diverse varianti, ha ispirato molti artisti, pittori, scultori e commediografi. Si narra come  lo scultore Pigmalione scolpisse una statua femminile di tale perfezione  da osare competere con la bellezza della Dea.  Afrodite, ferita nel suo orgoglio o forse indispettita  dal fatto che l’artista esaltasse un corpo di marmo disprezzando le  donne in carne ed ossa, diede vita alla statua, trasformandola in una seducente fanciulla del quale lo scultore si innamorò perdutamente. La amata però abbandonò il suo creatore spezzandogli il cuore.

Quali Fiori utilizzare quando questa rappresentazione archetipica è dominante o troppo debole?…continua

* K. Kerényi- Gli dei e gli eroi della Grecia-il Saggiatore.

L’immagine è tratta da un’opera della Pittrice Anna Antola.

 

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