29 Gen 2018
Luce e tristezza intesa come flessione verso il basso del tono dell’umore, sono strettamente connesse. Mi è capitato spesso di ascoltare clienti che raccontavano di vivere male il ritorno all’ora solare e la conseguente riduzione delle ore di luce.
Non per tutti è così, altri amano le lunghe notti autunnali che favoriscono ritiro e raccoglimento.
Antropologi e psichiatri hanno versato fiumi d’inchiostro per descrivere il disturbo depressivo stagionale SAD, largamente diffuso fra le popolazioni nordiche. In particolare fra gli Inuit (Eschimesi) le diagnosi di depressione e il tasso di suicidi riguardano un numero impressionante di individui.
Si è sempre dato per scontato che le notti nordiche favoriscano il crollo dell’umore. Noi mediterranei fatichiamo anche solo a concepire una notte della durata di tre mesi.
Solo di recente ci si è interrogati sul fatto che proprio fra gli Inuit la diffusione di questo disturbo può non essere legata esclusivamente alla mancanza di luce, ma è aggravata dallo stile di vita e dalle difficoltà relazionali.
La vita, al di là del circolo polare artico è molto dura e la sopravvivenza di questo popolo è stata garantita soltanto dalla loro incredibile forza e da una vita comunitaria intensa e regolata in modo rigido. La stretta vicinanza fisica nei mesi più disagevoli è inevitabile e ha come contraltare un grande riserbo riguardo alle proprie emozioni. Fra gli Inuit si ritiene sconveniente manifestare le proprie emozioni o dimostrare interesse per quelle degli altri.
Dunque uccide di più l’oscurità o la mancanza di comunicazione emotiva? Luce, calore, sentimenti sono, a ben guardare, tutti termini che analogicamente ci conducono alla sfera affettiva.
Nelle ore buie durante i colloqui amo accendere una piccola candela. Solo di recente ho compreso che quella fiammella non è semplicemente un modo per rompere l’oscurità dei pomeriggi invernali, ma rappresenta anche l’intimità empatica che in quell’ambito si viene a creare fra me e il cliente.
Continuando con le analogie, per gli Antichi Greci il risveglio della Natura, dopo il sonno invernale, era simboleggiato dalla gioia della dea Demetra che correva incontro alla sua amata figlia Persefone finalmente ritornata dalle tenebre del mondo infero. La forza del loro abbraccio rappresenta ancora oggi efficacemente il potere dell’Amore che scioglie il gelo e l’oscurità.
Quando rifletto sulla polarità luce-buio, la prima essenza floreale che mi viene in mente è Saint John’s Worth, essenza floreale californiana F.E.S. nota da noi come Iperico (ipericum perforatum) e comunemente conosciuto come Erba di San Giovanni. Si tratta di una pianta di un giallo luminoso, dalle virtù risanatrici decantate già dal greco Ippocrate.
Nella cultura popolare l’Erba di San Giovanni è considerato un rimedio magico, utile per scacciare gli spiriti maligni, infatti, in molte zone di campagna è ancora chiamato ”Scaccia diavoli”.
L’olio estratto dal fiore e dalle foglie viene utilizzato per diversi disturbi e soprattutto in caso di ustioni. Questa pianta, sia per il succo rosso ed il colore dei suoi petali, che per i suoi impieghi, scottature e irritazioni, è associabile all’elemento fuoco, al calore e quindi alla luce.
Dunque non lesiniamo alle persone che lamentano uno stato d’animo abbattuto e malinconico, tra le altre essenze floreali, anche le gocce di Iperico, una formula ancora più efficace se offerta insieme al calore della nostra Accoglienza e del nostro Ascolto.
Marisa Raggio, “I Fiori e le Dee”
Pubblicato sul notiziario della Unione di Floriterapia di Milano
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