Blog, Il Canto di Estia di Marisa Raggio, Floriterapia e Counseling

L’incontro con Pan: da  Kore a Persefone

L’incontro con Pan: da Kore a Persefone

Nella storia dell’umanità, il mito di Kore-Persefone rappresenta la narrazione più efficace di una trasformazione femminile: dalla vulnerabilità alla autorevolezza. Dovremmo ricordare ripetutamente questa storia, affinché la vibrazione potente di tale mito penetri profondamente in noi.
Ancora una volta assistiamo ad un percorso iniziatico secondo lo schema simbolico malattia-morte resurrezione: da Kore, la fanciulla legata alla madre e poi a lei strappata e trascinata in un luogo spaventoso, a Persefone, regina del mondo infero, assisa sul trono, temuta e rispettata.
Il potere di Persefone, non è solo potere politico: sebbene sia la regina del mondo infero, è soprattutto onorata come guida spirituale che svolge l’importante ruolo dello psicopompo. La dea infatti conduce le anime dei defunti verso il regno dei morti e guida gli eroi nell’Ade, in un viaggio di andata e ritorno che solo lei può rendere possibile. Persefone è l’unica fra le divinità del monte Olimpo il cui mito ci tramanda un prima e dopo, rappresentandola nella sua evoluzione.

Forse non a caso ho incontrato tante Kore e in alcuni felici occasioni ho avuto il privilegio di vederle cambiare, acquisendo alcuni degli attributi di Persefone.
Come spesso ho sottolineato, non desidero ridurre la storia di queste donne a mere “tipologie”, ognuna di loro è apparsa ai miei occhi unica e speciale. Tuttavia riconosco nelle loro difficoltà, nei loro blocchi, nella loro tristezza, così come è avvenuto prima di tutto con me stessa, l’azione di archetipi dominanti e la debolezza di altri che sarebbero invece da “tonificare”.
Alcune donne hanno chiesto il mio aiuto perché ansiose e spaventate, talvolta soggette ad attacchi di panico: “quando mi succede così penso di stare per morire”. Questa è una delle prime cose chi viene riferita.
L’attacco di panico, ovvero l’esperienza del “terrore” vero e proprio, infligge una ferita profonda, lasciando per anni un alone di vulnerabilità: la paura che possa “succedere di nuovo”.
Tuttavia molte donne non si lasciano bloccare, continuano la loro vita sviluppando una corazza robusta che le rende accanite lavoratrici, mamme e mogli perfezioniste, donne iper organizzate e talvolta tiranniche, sia nel lavoro che in famiglia. Tuttavia possono manifestare una forte dipendenza dalla figura materna che continua ad avere lo stesso ruolo rassicurante svolto nella loro infanzia. La madre protettrice può essere con gli anni sostituita da altre figure: un marito, una sorella, in alcuni casi persino un figlio.
Alcune donne confessano con imbarazzo di guidare solo se accanto a loro c’è la mamma o una sua sostituta, lo stesso avviene per i viaggi in treno, in aereo o sui mezzi pubblici, c’è anche chi riesce ad entrare in un supermercato “solo con la mamma” o non si avventura per la strada se non ha uno dei suoi figli per mano. Ricordo una ragazza che con la sua bicicletta affrontava grintosamente il traffico metropolitano, eppure quasi non si azzardava a camminare per la strada da sola. Per lei, mi spiegò con chiarezza, la bici rappresentava un rapido mezzo di fuga in un eventuale quanto improbabile “momento di emergenza”.
Tutti questi comportamenti evitanti , finiscono per condizionare pesantemente lo svolgimento della vita quotidiana, abbattendo l’autostima di queste donne che in realtà hanno spesso notevoli capacità e talenti.

Dunque la donna dominate da aspetti Kore, prima di essere incoronata regina, può sperimentare quello che tutti conosciamo come “attacco di panico”. Anche qui i riferimenti mitologici sono illuminanti.
Il prefisso “Pan” in greco antico significa “tutto”, in effetti il picco più alto di panico spesso è descritto da chi lo ha vissuto, come una esperienza di “perdita di sé”, intesa come smarrimento della propria individualità. Lo stesso prefisso, coerentemente, ci rimanda a Pan dal piede caprino, signore dei pascoli, divinità con attribuzioni sessuali molto esplicite.
Pan il selvaggio, incarna gli aspetti liberi e contraddittorii delle forze naturali, ama suonare il flauto diffondendo la sua musica sublime, ma spesso terrorizza gli umani producendo grida terribili. Il suo passatempo preferito tuttavia è costituito dall’inseguire ninfe e fanciulle umane per soddisfare la sua voracità sessuale, totalmente priva di inibizioni.
Simbolicamente, questa divinità la cui rappresentazione nel mondo cristiano è stata utilizzata per rappresentare il Diavolo, mezzo uomo e mezzo caprone, rende l’idea del pericolo che incombe sulle fanciulle inermi. Una minaccia soprattutto interna, costituita dall’affacciarsi delle proprie pulsioni erotiche, etichettate come ferine e peccaminose. Le giovani donne devono fare i conti con una misconosciuta componete istintuale percepita come perturbante, una forza maligna che le incita pericolosamente a trasgredire l’intrico di regole del sistema patriarcale.
Tali “forza oscure”, che siano rappresentate nei miti come le energie sotterranee del cupo Ade, o quelle iper vitali del dio capro, gioioso e sporcaccione, per essere ridimensionate nella loro portata terrorizzante, devono essere viste, riconosciute ed infine accettate per quello che sono: forze vitali senza le quali finiremmo per indebolirci e appassire.

Tale itinerario di smascheramento delle nostre presunte minacce interne può essere efficacemente percorso con l’ausilio della floriterapia.
Ogni essenza floreale di Bach, ma anche quelle di altri sistemi scoperti negli ultimi decenni in diverse parti del mondo, ci rimanda a caratteristiche emozionali precise che, se ci riguardano, attivano la nostra naturale tendenza a riequilibrarle.
E’ interessante come gli aspetti dissonanti della personalità Kore e le strategie messe in atto per camuffarli, possano essere efficacemente tradotti nel linguaggio della floriterapia.
Un bravo floriterapeuta sarà sicuramente in grado di consigliare i fiori più adatti ad aiutare la sua cliente Kore, iniziando dalla miscela per affrontare il picco più acuto del panico, via via contribuendo a rassicurarla, sostituendo la percezione di sé stessa come creatura fragile e vulnerabile con quella di donna adulta, consapevole delle proprie doti di autonomia e coraggio, nonché della forza sufficiente ad affrontare prove e difficoltà.

Dunque Kore si avvia a diventare Persefone: ha appreso come gestire il panico, va al supermercato da sola e da sola guida la sua macchina.
Tuttavia questa trasformazione non si può considerare veramente conclusa fino a quando le oscure minacce che ancora minano la sua sicurezza anziché essersi dissolte sono semplicemente e persino efficacemente represse. Un tale atteggiamento spesso conduce ad un forte irrigidimento nel carattere e la donna, per quanto maggiormente sicura, può diventare via via più autoritaria, potenziando la sua ossessione per il controllo e l’intransigenza nei giudizi.
In questo caso, l’isolamento ed il distacco nelle relazioni con gli altri, che viene mascherato come bisogno di spazio ed autonomia, in realtà cela il timore che la propria regalità, in fondo ancora traballante, venga messa in discussione da chi la circonda.
Insomma ci sarebbe ancora tanto lavoro da fare, ma spesso la relazione d’aiuto viene interrotta dalla cliente che sostiene di non averne più bisogno. Lo stato acuto non si ripresenta da molto tempo e quindi lei giustamente sente l’esigenza di fare da sola. Anche questa è una fase di crescita che può essere utile.
D’altra parte se l’integrazione dei propri fantasmi interiori non è completa resta la possibilità che, anche dopo tanti anni, il temuto attacco di panico si ripresenti, non necessariamente in veste di nemico, ma come consigliere, indicando che c’è ancora per la donna un pezzo di strada da percorrere.
La corona di Persefone non rappresenta una facile conquista, va guadagnata osando inoltrarsi in zone oscure, temibili, ma non necessariamente ostili.
Ci sono essenze floreali che incarnano con precisione la gamma degli stati d’animo e delle dinamiche emotive sopra descritti e dunque rappresentano per la donna un notevole supporto nell’impegnativo passaggio dalla dominanza degli aspetti Kore al potenziamento di quelli Persefone.
Ne ho scelte alcune che ritengo fondamentali, tuttavia non ne escludo altre, a seconda della specificità e della biografia della persona che le assume.

Vulnerabilità di Kore:
Rock Rose: tendenza a spaventarsi, sensazione costante di terrore.
Cerato: sfiducia nel proprio giudizio
Larch: scarsa autostima, sottovalutazione.
Clematis: difficoltà ad accettare la realtà
Crab Apple: rifiuto del proprio corpo, vergogna per le proprie necessità fisiologiche.

Strategie compensative attivate per gestire e nascondere la propria vulnerabilità:
Rock Water: autodisciplina ferrea,auto inflitta per sopperire alla percezione della debolezza
Cherry Plum: eccesso di controllo, tensione, sentirsi sempre in stato di allarme.
White Chestnut: attività mentale frenetica e tormentosa
Red Chestnut: preoccupazione eccessiva per i propri cari
Vine: impulso a gestire, coordinare e comandare. Rigidità e autoritarismo
Beech: intolleranza e rifiuto tutto ciò che sfugge al controllo.

Nell’emergenza dell’attacco di panico:
Rescue Remedy, sempre in tasca.

Il viaggio di Proserpina

Il viaggio di Proserpina

Una storia antica, sempre la stessa.

Non ho ancora capito bene perché è successo.
Io e mia mamma Rita siamo sempre state unitissime, mio padre impegnato con i turni in fabbrica, e noi due sempre insieme. In casa un gran movimento: i bambini del vicinato, animali vari e lei che sfornava dolci per le nostre merende. Credo che il profumo della torta marmorizzata di mia madre mi accompagnerà tutta la vita.
Comunque il nostro modesto appartamento accoglieva i randagi a due e quattro gambe che mamma raccattava. Lei era fatta così, diceva che un piatto di minestra non si nega a nessuno e mi insegnava che le persone sono tutte sostanzialmente votate al bene. E io le credevo, ero fiera di lei, ma certe volte avrei voluto provare a fare a modo mio, quale fosse quel modo però non lo sapevo.
Poi andai al liceo, erano anni difficili quelli, 1973, un gran casino per le strade, manifestazioni e persino Rita che si occupava di politica, saltava da una riunione all’altra, la casa ancora più affollata del solito.
Io a scuola vedevo i ragazzi dell’ultimo anno, i jeans stinti, le Clarks ai piedi: discutevano sempre fra di loro, mi sembravano così intelligenti, pronti a salvare il mondo.
Ma il più figo era lui, il bel tenebroso della Quinta B.
A scuola andava malissimo, di politica in realtà non si occupava, credo che non avesse mai letto un libro fino in fondo, eppure tutti lì a girargli intorno come satelliti intorno al sole. Le feste funzionavano solo se c’era lui: chi non avrebbe voluto essere suo amico? Chi non avrebbe voluto essere la sua donna?
Perché tra tutte le ragazze carine che lo adoravano si fosse fissato proprio con me non l’ho mai capito. Forse perché aveva intuito che io era la più sciocchina, quella che gli avrebbe permesso di fare tutto quello che voleva.
A quell’epoca il desiderio di trasgressione dei ragazzi passava per due strade che, anni dopo, spesso si sarebbero incrociate: una era la politica, l’altra qualcosa di molto più pericoloso: l’eroina.
Io già li riconoscevo quel che si facevano, spesso erano messi male, ma alcuni avevano il fascino degli angeli caduti, chiusi fra loro in un circolo di “eletti”. E al centro di tutto c’era lui che mi omaggiava di un bel biglietto per l’Inferno. Così tutto ebbe inizio.
Eppure, anche dopo l’eroina per me il baratro non si era era ancora spalancato completamente. Toccai il fondo quando lui mi disse che se lo amavo veramente dovevo dimostrarglielo.
Iniziò con il suo migliore amico, quasi un fratello mi disse, loro condividevano tutto ciò che possedevano ed io ero una sua proprietà. Dopo pochi giorni iniziò a impormi uomini sconosciuti e via via, sempre più disgustosi. Dovevo guadagnarmela la dose, pensavo forse che lui mi avrebbe regalato la roba per sempre?
Ecco, era questo il baratro e io ci ero caduta in pieno, cominciavo a rendermene conto, ma non c’era nulla che potessi fare, mi trovavo nelle mani dell’Orco.
L’Orco era astuto, carismatico, ma commise un errore: aveva sottovalutato mia madre, Il tornado Rita come lo chiamavo io da bambina.
Lei si era accorta abbastanza in fretta che le cose non andavano bene, ma non sapeva proprio da che parte cominciare. Mio padre, gli zii, tutta la famiglia, la trattavano da pazza paranoica :” È una fase” le dicevano”, “vedrai che poi tutto si mette a posto”.
Brava gente i miei parenti, persone semplici, un po’ ottuse, che neanche sospettavano l’esistenza di una cosa che si chiamava eroina,
E neanche potevano immaginare l’inferno in cui ero finita.
Rita invece cominciava a capire, si rivolse ai professori, parlò con uno psicologo, tutti allargavano le braccia, tutti si dimostravano incapaci di aiutarla.
Qualcuno le diede il consiglio di mandarmi all’estero a studiare, come se fosse possibile in una famiglia modesta come la mia! Intanto avevo cominciato a rubare in casa, piccole somme, piccoli gioielli, i soldi della spesa della nonna, il borsellino della zia che era venuta a trovarci.
Solo a questo punto anche mio padre dovette accettare il fatto che stava succedendo qualcosa di molto brutto alla sua bambina.
Così, a malincuore, Rita trascinò il marito alla polizia.
Ci beccarono con le mani nel sacco, eravamo in un lurido scannatoio, tipi strani che aspettavano docili il loro turno per andare con la “ragazza”, ovunque siringhe, cucchiai, mezzi limoni e bustine di ero.
Io uscii subito, avevo 16 anni, ma lui, il genio pluri-ripetente, aveva già compiuto 21 anni. Restò dentro per un bel po’.
All’inizio per me fu dura, durissima, ma portai a casa la pelle, non mi ammalai e riuscii persino a terminare gli studi ed eccomi qui dopo tanto tempo, a raccontare questa storia uguale a quella di tante altre ragazze della mia generazione.
Oggi che faccio l’insegnante, posso dire di avere un certo occhio per le situazioni pericolose in cui si trovano le mie sallieve, c’è poco da fare, l’esperienza insegna… e tu impari a leggere i segnali.
Per il mio idolo andò peggio, ebbe un condanna severa, ma in galera fece carriera diventando una specie di piccolo boss, tanto che per un lungo periodo dovetti convivere con la paura che uscito di prigione potesse vendicarsi su mia madre.
Passarono gli anni, molti anni. Con mio grande disappunto un pomeriggio piovoso lo incontrai per la strada, spiumato, macilento, ma sempre con lo stesso sguardo arrogante: gli occhi scuri lucidi come carboni. Pensai di fingere di non vederlo, ma lui mi chiamò tre volte. E così fui costretta a fermarmi, a parlargli nonostante il disgusto che provavo. Voleva dirmi una cosa, sembrava tenerci davvero, doveva averla covata per tanto tempo. Mi disse che non ce l’aveva con me: ”che gentile” pensai furiosa, e stavo per girargli le spalle quando lui aggiunse: “ non ce l’ho neanche con Rita anche se mi ha mandato dentro, alla fine ha fatto il suo mestiere, lei è una tosta! E tosto anch’io che sono ancora vivo nonostante la galera e tutto quanto: siamo della stessa pasta io e tua madre”.
E finalmente riuscii ad andarmene, lasciandomelo per sempre alle spalle: dal giorno che l’avevo incontrato nei corridoi del liceo, di fronte alla Quinta B, erano passati trentadue anni.

Marisa Raggio “ I Fiori e le Dee”

(L’immagine in evidenza è tratta dal film “Christiane F.-Noi ragazzi dello zoo di Berlino”)

Il Ratto di Proserpina di Lorenzo Bernini

Uomini e intuito femminile. Più una facezia che una riflessione.

Uomini e intuito femminile. Più una facezia che una riflessione.

Secondo voi che cosa è il famoso intuito femminile?
Se ne fa un grande parlare e tutti ce lo riconoscono. Sì, insomma, noi non saremmo proprio..proprio intelligenti come i maschi e quando ci azzecchiamo è grazie al solito “intuito femminile”.
Ma i maschi davvero non lo hanno questo benedetto optional?
Se per intuito femminile intendiamo, chiamatelo un po’ come volete, il sesto senso, la sensibilità, l’attività dell’emisfero destro del cervello, l’Anima (intesa nella accezione junghiana), beh, queste cose le abbiamo tutti, uomini e donne, solo che ai maschi è stato insegnato da qualche millennio che quella roba lì è merce scadente e dunque l’hanno lasciata a noi femmine che la custodiamo, ne facciamo largo uso.
Peccato però, perché quando i maschi si lasciano guidare dalla loro Anima, dalla loro parte femminile, grandi cose accadono.
Ad esempio smettono di farsi la guerra e creano opere d’arte, oppure può succedere che si sacrifichino per difendere i più deboli, si impegnino in cause antieconomiche e obsolete come la difesa della natura, della bellezza e ciò tutte quelle sciocchezze che rendono dolce la vita.
Insomma quando i maschi permettono alla loro Anima di ispirarli, superando tabù e pregiudizi androcentrici, possono diventare veramente Grandi Uomini. Del resto Dante quando è stato il momento di arrivare al Top, in Paradiso, si è fatto guidare-ispirare da Beatrice.

Chiudo con un aforisma di cui non conosco l’autore, ma che mi fa sempre molto sorridere:
“L’intuito femminile è quello strano istinto che dice a una donna che ha ragione. Sia che ce l’abbia o no.”
Marisa Raggio

I Fiori e le Dee

 

Il labirinto delle 7 Dee. Uno strumento per vivere meglio.

Il labirinto delle 7 Dee. Uno strumento per vivere meglio.

Lisa, Barbara, Paola, Adriana, Loredana, Roberta, Susanna non compare, scatta la foto.
Questo è il gruppo “pilota” che ha compiuto il percorso di 3 incontri proposto dal “Il Labirinto delle 7 Dee”.
Esperienza molto intensa, per me di pura gioia, non aggiungo altro perché preferisco dare spazio ai vostri commenti.
Il lavoro però non è finito, in qualche modo qui comincia il bello…
E’ possibile portarsi a casa una esperienza condivisa di tale intensità?
Sì è possibile ed è proprio l’obiettivo che ci siamo poste.
7 Dee, 7 aspetti aspetti del Femminile, 7 sfaccettature dello stesso prezioso cristallo.
Ognuna di noi si è riconosciuta in questi 7 modi di percepire il dolore e la gioia, di portare con sé ferite antiche e recenti e si è confrontata con le compagne ascoltandole e raccontandosi.
Nei due workshop esperienziali abbiamo potuto “Agire” ognuna delle 7 rappresentazioni dell’Archetipo Femminile, percependole da tanti diversi punti di vista, abbiamo seguito le storie che dall’antichità si tramandano su di loro, deliziandoci nello scoprire i gossip che le riguardano.
Poi è giunto il momento di percepire la loro qualità energetica, utilizzando alcuni strumenti pratici.
Tutto ciò è stato vissuto in un clima di grande solidarietà, condivisione e fiducia reciproca, infatti in lavori come questi il Gruppo significa moltissimo.
Estia ha concluso non a caso il nostro percorso, non perché sia più vecchia o più saggia, queste sono definizioni inadatte  al mondo degli archetipi: Estia in realtà contiene tutte le rappresentazioni precedenti, le sintetizza in sé e ci insegna a integrare gli opposti, superare i conflitti, accogliere e comprendere elementi che percepiamo incongruenti.
Ormai sappiamo che si può fare, quindi in ogni momento della giornata è possibile ritornare a “agire” la dea che in quel momento ci può essere più utile.
Il lavoro svolto insieme non è mera attività intellettuale o un affascinante passatempo, ma piuttosto un utile strumento per continuare a seguire l’unica strada verso il benessere, quella che ci indica l’esortazione: “conosci te stesso”.
Che Estia sia con noi.

Marisa Raggio
I Fiori e le Dee

Quando è Lui a commuoversi guardando il film.

Quando è Lui a commuoversi guardando il film.

W il Cinema!
A proposito dell’aspetto femminile nell’uomo, mi arriva un bel ricordo che vorrei condividere con voi.
La mia nipotina, l’anno scorso, aveva 11 anni, desiderava tanto vedere l’ulima versione Disney de “La Bella e la Bestia”
Detto fatto, mi organizzai e lei si presentò con un coetaneo: “lui è il mio migliore amico” disse orgogliosa.
La visione del film in loro compagnia si rivelò una delizia, l’entusiasmo dei bambini è spesso contagioso e tutti e tre, sgranocchiando popcorn, ci facemmo catturare da quella che, tra l’altro, è sempre stata la mia fiaba preferita.
Quando giunse la scena topica in cui la Bestia sembra spegnersi, la bambina mi chiese discretamente un fazzoletto, mi voltai pensando di vederla piangere e invece scorsi il sua amichetto che si stava sciogliendo in lacrime. Lei intanto, con solerzia materna gli accarezzava la mano per consolarlo, lanciandomi occhiate complici. “ Non farci caso, lui è fatto così anche se ormai siamo grandi” mi sussurrò.

In seguito ho riflettuto parecchio su quel delizioso quadretto : i bambini, i nostri micro maestri, non finiscono mai di fornirci informazioni preziose.
In questo caso dapprima prevalse la soddisfazione nel vedere una creatura così bella e sensibile, poi cominciai a preoccuparmi per lui. Come stava accogliendo la sua emotività l’ambiente che lo circondava?
In effetti continuo a temere che presto questo ragazzino, spinto dalle prese in giro e magari dal giudizio paterno, cominci a vergognarsi nel mostrare le proprie emozioni. Un maschio così aperto rischia di essere bullizzato e costretto a reprimere la propria natura, indossando una maschera adeguata alle pressioni sociali e culturali. Succede continuamente.

A noi invece, le lacrime degli uomini piacciono, ovviamente quando non sono le esternazioni trash e scomposte dei reality televisivi.
A noi piace che ogni uomo lasci tranquillamente trasparire le proprie emozioni, ne parli, le condivida: ogni emozione repressa, nascosta per vergogna, può diventare il detonatore di una bomba devastante. Come la cronaca purtroppo insegna.
Solo attraverso l’incontro e l’integrazione di quella che Carl Gustav Jung definiva Anima, la parte femminile in ogni uomo, supereremo i danni che il “Machismo” arreca agli uomini stessi, a noi donne, alle famiglie ed alla società intera.
Vogliamo uomini più liberi e più sereni, vogliamo maschi che amino la pace, che riescano ad empatizzare con chi è in difficoltà.
Il nostro impegno per valorizzare il Sacro Femminile per noi significa anche questo.

Marisa Raggio
I Fiori e le Dee

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE       (PARTE SECONDA)

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE (PARTE SECONDA)

IL VERDETTO

“Quando una corte di giustizia delibera in merito all’educazione di un bambino, il benessere del bambino stesso deve essere considerato come prevalente e prioritario”, articolo fondamentale del Children Act (che dà il titolo originale al film), introdotto nella legislazione inglese nel 1989.

Se in “The Wife”, abbiamo visto un modello femminile apparentemente passivo, in questo film, tratto dal romanzo di Ian McEwan, ci troviamo di fronte ad una donna molto diversa.

Fiona Maye, è una persona importante: giudice della “Supreme Court of the United Kingdom”, si occupa principalmente dei casi più delicati di diritto familiare.

La sua carica ha un grande rilievo nel Regno Unito, infatti è assegnata a soltanto dodici giudici, attraverso una lunga e complessa procedura: il nome del candidato deve essere proposto al Lord Chancellor, se è accettato, passa al vaglio del primo ministro e infine, viene presentato alla Regina in persona, per la nomina finale.

Dunque la nostra eroina è una donna “tutta di un pezzo”, di doti morali e intellettuali largamente riconosciute, anche in un ambiente terribilmente maschilista ed elittario come quello in cui si muove.

Questo ci fa pensare che Fiona abbia dovuto faticare il doppio di qualsiasi collega uomo per raggiungere una posizione professionale così rilevante.

Ogni altro aspetto della sua vita è azzerato, fagocitato dall’impegno professionale, si salva solo la musica, una passione che continua a coltivare con puntiglioso impegno.

Il suo matrimonio vacilla, la vediamo alle prese con un marito dotato di una devozione “fantascientifica”, ferito dalla lontananza affettiva della moglie. Insomma la solita storia, ma al contrario.

Il film, affronta molti temi delicati e complessi, come il conflitto fra legge ed etica, fede e amore, aprendo anche una finestra sulla difficoltà adolescenziale di costruire una propria identità cercando di trovare riferimenti adeguati.

E tuttavia la figura della protagonista che qui ci interessa.

Il Giudice May, “My Lady”, come l’etichetta impone di chiamarla, impegnata in una causa complessa, attraverso l’incontro con un affascinante adolescente gravemente malato, si trova a dovere sciogliere dei nodi che da troppo tempo aveva accantonato. Da un lato ci viene descritta secondo lo stereotipo maschile della donna che deve rinunciare ai suoi attributi femminili: maternità e famiglia, in favore di una mascolinizzazione, per raggiungere professionalmente la vetta.

Questa visione manichea all’inizio può apparire irritante, ma la potenza espressiva di Emma Thompson ci regala l’immagine di una donna ricca di sfaccettature, una figura dolente, a tratti tragica, alla quale il mondo degli uomini ha richiesto di camuffare alcuni aspetti del proprio femminile.

Noi vediamo Fiona sempre in divisa, ogni giorno corazzata nel suo tailleur rigorosamente nero, oppure, con tanto di parrucca e cappa bordata di ermellino nello svolgimento del proprio solenne incarico. Persino quando indossa abiti da “occasione”, sembra non togliersi mai elmo e corazza.

Schierata in difesa delle legge, delle norme della costituzione, dell’ordine contrapposto al caos, della razionalità rispetto alla passione, del bene collettivo, contrapposto a quello del singolo individuo, il giudice Fiona May è una Atena perfetta.

Ci insegna James Hillman*, che Atena è la protettrice dell’ordine civico, paladina del mito del progresso, della civiltà occidentale, dotata dell’abilità di risolvere problemi intricati. Sostenitrice della civile moderazione, esalta la perspicacia del giudizio, il prevalere dell’autocontrollo sull’azione impulsiva.

“Tutte qualità che costituiscono l’intima essenza della mente strategica… possiamo dire che Atena esercitava il potere in modo strategico senza ricorrere semplicemente alla coercizione.” **

La donna dominata dalla rappresentazione archetipica di Atena è sovente, proprio come Fiona, una donna da ammirare, stimare, ma non sempre da amare. Portatrice di una qualità emotiva rigida, costringe sé stessa a celare le proprie emozioni e spesso le qualità più belle della sua anima.

Si tratta di una modalità di comportamento che rischia di essere più utile alla comunità che alle persone affettivamente vicine, ed è pericolosa, perché lo sforzo che questa donna richiede a se stessa è altissimo. Tutto ciò la rende talvolta incapace di comprendere la fragilità altrui e rispettare i propri limiti.

“L’immagine di Atena, con l’elmo e la corazza, ci riporta all’iniziale riferimento a Freud. Il piccolo sintomo, così estraneo alla visione normativa dell’Io, è la crepa nella struttura che fai incrinare tutte le nostre immagini normative di come dovremmo essere… E’ la falla fatale, appunto il Fato, Necessità, che afferra la nostra anima a dispetto di tutti gli scudi che la previdenza è pronta a impugnare contro di lei.” ***

In poche righe, James Hillman sintetizza la storia di Fiona-Atena, anticipando la conclusione della vicenda.

Il sintomo, il disturbo fuori luogo, non pianificato, in questo caso l’incontro con il ragazzo infermo, irrompe nella sua vita con una valenza dolorosamente salvifica.

La tragedia è terribile, ma la corazza si è finalmente incrinata, ora Atena è libera di soffrire, di piangere e soprattutto di “sentire” il proprio dolore e dunque condividerlo con chi ha al suo fianco.

Potremmo essere di fronte ad un autentico processo di integrazione, Fiona ora ha visto in sé le qualità morbide ed istintive che rinnegava, pur inconsapevolmente continuando a nutrirla con il suo pianoforte. Adeso, con questa parte riscoperta, potrebbe riequilibrare gli aspetti più rigidi e normativi del proprio carattere. Fiona forse non sarà più costretta a scegliere fra la mente e il cuore.

Conclusione

Due donne, Joan e Fiona, apparentemente opposte, che sono accomunate da uno stesso dramma: il sacrificio della propria essenza sull’altare dei valori patriarcali; per Era l’istituzione matrimoniale e la famiglia, per Atena, l’Ordine Costituito e la Norma.

Le loro storie possono insegnarci che quanto assorbiamo come modello inevitabile, in realtà non lo è affatto!

Noi possiamo sempre cercare un’altra strada che è quella di accogliere la totalità di noi stesse, senza privarci di parti che ci insegnano a disprezzare, ma che spesso sono proprio le nostre più grandi risorse.

Un abbraccio circolare. Che Estia sia con voi.

Marisa Raggio

I Fiori e le Dee

 

Note:

* Figure del mito, pag. 63, Adelphi Edizioni

**Ibidem

***Ibidem

 

 

 

 

 

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE            (Parte prima)

JOAN E FIONA: DUE ASPETTI DEL FEMMINILE (Parte prima)

Evviva il Cinema!

Due film, due gigantesche attrici, in questo momento la fanno da padrone nelle sale cinematografiche.

“The Wife”, con una Glen Close lanciata verso l’Oscar, e “Il Verdetto, the children act”, interpretato da Emma Thomson, in uno dei ruoli più importanti della sua magnifica carriera.

(Di seguito riferimenti alle vicende narrate dalle due pellicole e quindi anticipazioni di eventuali colpi di scena.)

Ci sarebbero tante considerazioni da fare su queste due pellicole ricche di temi complessi, ma qui desidero proporre una lettura in chiave archetipica delle due protagoniste.

Sono sorpresa che proprio in questo momento storico, quando i modelli mediatici ci rimandano a un femminile “evergreen”, perfetto fino all’artificio grottesco, le due mattatrici non solo siano donne, ma pure “mayores” (vecchie), come dicono garbatamente gli spagnoli.

Lo rende evidente la macchina da presa mentre accarezza il viso delle attrici in impietosi quanto amorevoli primi piani che seguono la mappa delle rughe, la piega amara della bocca, la fronte cronicamente corrugata.

Due figure titaniche che rappresentano una ghiotta occasione per svelare l’aspetto archetipico che loro rappresentano.

 

THE WIFE-Vivere nell’ombra

“The Wife”: è la storia di un matrimonio e soprattutto di un segreto faticosamente e dolorosamente celato.

Il film presenta i coniugi Castleman, Joe e Joan, in attesa di una importante comunicazione. Il marito è nervoso, impone alla moglie un triste coito “ perché lui si deve rilassare”, e lei per quanto assonnata, docilmente lo accontenta. Finalmente arriva dalla Svezia la telefonata e loro possono esultare come due ragazzini: Joe ha vinto il premio Nobel per la letteratura, il sogno si è avverato, lui è il più grande scrittore vivente.

Joan però, dietro alla facciata dell’esultanza, è sconvolta, mille ricordi, riflessioni e valutazioni affiorano nella sua mente, riportando a galla il “grande segreto”.

Nella lussuosa frenesia di una Stoccolma che prepara le Celebrazioni per la consegna dei Nobel, Joan si trova a rivivere il passato, quasi che tutto quello sfarzo, l’accoglienza straordinaria loro riservata, renda ancora più scabro il dolore per il suo enorme sacrificio, quel dono che lei ha strappato da sé e offerto al marito.

Joe in realtà non è un genio e neanche un artista, lei, la piccola moglie solerte, è la creatrice delle opere che gli stanno regalando imperitura fama, lui non è che un uomo comune, a cui la sposa ha consegnato scettro e corona.

Il velo si squarcia, da lì in avanti la situazione precipita, anche in modo imprevedibile, ma nessuno si salva, la verità, se mai sarà svelata, e in questo il regista lascia il finale aperto, comunque giunge troppo tardi.

Già il titolo ci dice che si sta raccontando la storia di una moglie, anzi, la Moglie, che vive una quotidianità confortevole e agiata, come il marito le rifaccia durante un alterco. Joan però non sembra mai compiaciuta di tanta abbondanza, piuttosto appare impegnata instancabilmente nell’onorare l’unico culto a cui ha immolato quaranta anni di vita: il Matrimonio Perfetto.

E’ qui inevitabile l’accostamento con la divinità greca Era, moglie del sommo Zeus, sovrano di dei e uomini, dunque lei stesa regina. Il Mito, ce la descrive potente e regale, dea “dai cento occhi” che utilizza per tenere sotto controllo un marito farfallone. Molto onorata nel mondo classico, in quanto protettrice dell’istituzione alla base della società civile: il matrimonio, Era è perennemente impegnata nel mantenere il suo ruolo di first lady, alternando ira e arrendevolezza nei riguardi di uno sposo narcisista e infedele.

Quante donne così hanno attraversato la storia e la società moderna all’ombra del loro marito?

“Dietro un grande uomo ecc…” una frase che mi ha sempre fatto rabbrividire, stimolando una domanda: quali rinunce, umiliazioni, bugie, quanti compromessi dietro a queste grandi donne che scelgono di stare dietro a tali presunti grandi uomini?

Qui sta il nodo della vicenda: Joan aveva creduto di potersi sottoporre a qualsiasi sacrificio, onere, segreto, pur di mantenere l’immago del matrimonio perfetto. Disposta anche a ingoiare la sua possessività, cercando di sublimare l’onta del tradimento con un atto creativo che alla fine non le apparterrà neanche, perché lei stessa sceglie di deporre i frutti del suo talento ai piedi del coniuge, assiso sul trono che lei stessa gli ha assegnato.

Joan, così come non riesce a proteggere i parti del proprio genio creativo dall’ingordigia infantile dello sposo, così non riesce a proteggere il figlio, la cui autostima è sistematicamente minata dalla patologica competitività paterna, proprio come Freud insegna.

Anche qui la spinta archetipica moglie-Era supera l’istinto materno e non le permette di opporsi al suo Signore per schierarsi a fianco del figlio che alla fine è sia vittima sacrificale del matrimonio perfetto, sia il tarlo che finirà per scardinare l’allestimento così sapientemente costruito da entrambe i genitori in quaranta anni di vita in comune.

Creare un grande uomo e poi restare nella sua ombra è una scelta approvata, anzi, socialmente consigliata, una scelta fatta di paura, insicurezza, cronica fame di amore, bisogno di accettazione. Una scelta che finisce per avere un costo altissimo. Il prezzo pagato è quello del dolore, della rinuncia continua a essere veramente sé stessa.

Il film sembra suggerire, senza possibilità di riscatto o liberazione, che il patto fatale non si scioglierà neanche con la morte.

A noi resta una domanda: il sacrificio di questa Era contemporanea, è stato dettato dall’amore per il partner o dalla sua ferrea volontà di alimentare quella proiezione che aveva fatto da ragazza sul vanesio insegnante di letteratura?

Pur di essere la moglie del grande uomo, forse Joan ha posto il suo professorucolo su un piedistallo che lei stessa ha costruito, pezzo per pezzo, pagina dopo pagina.

Dunque non solo Dea officiante del Matrimonio, ma anche piccola donna fragile che non ha avuto il coraggio di essere padrona di sé stessa, lottando per affermare nel mondo la propria vocazione. Certe volte, restare dietro le quinte, può essere deprimente, ma anche infinitamente più rassicurante, soprattutto per le donne che da millenni si sentono ripetere che valgono poco, troppo poco. (Continua)

Marisa Raggio     I Fiori e le Dee

 

il Sacro Femminile e il diritto alla Gioia

il Sacro Femminile e il diritto alla Gioia

Penso che il fine ultimo di questa ricerca e di questo “impegno” che condivido con diverse donne, sia quello di “guarire noi stessi” citando Edward Bach.

Personalmente da lì sono sempre partita, sia con i Fiori, che con il mio lavoro sul Femminile: se non mi fossi sentita ammaccata e ferita, probabilmente non avrei neanche iniziato…

Gli approcci possono variare, gli strumenti anche, ma il fine vero è quello della guarigione di noi stesse.

Perseguire tale obiettivo, non è, come ci hanno sempre insegnato, una manifestazione di egoismo, ma piuttosto, la affermazione di un diritto: il diritto alla Gioia.

Questo significa sviluppare un’inevitabile attenzione al proprio “sentire”, imparando ad ascoltarci, anche quando quello che ci arriva è imbarazzante e doloroso. Certamente la guarigione è un traguardo che richiede sforzo, perseveranza e impegno, ma forse abbiamo un’altra scelta?

“Guarire”, è qui inteso nel senso più ampio, non solo di guarigione fisica individuale, ma anche emozionale, spirituale e collettiva.

Si guarisce magari un pezzetto per volta, con una lentezza talvolta sconfortante, ma tutte noi abbiamo il diritto/responsabilità di impegnarci in questa direzione.

Sì, anche  Responsabilità, sì, anche nei riguardi degli altri, perché la nostra Gioia è soprattutto la fiaccola che portiamo nel mondo, donando un po’ di luce, dapprima a chi ci sta più vicino e poi a tutti gli altri.

Ci hanno insegnato la frase: “ crescete e moltiplicatevi”, io la vorrei parafrasarla in: ”cresciamo e illuminiamo”.

Dunque, a questo devono servire incontri e condivisioni: aiutarci reciprocamente a stare meglio, sostenendoci nell’impegno a curare il nostro corpo, e a curare le ferite del cuore e dell’anima che oscurano e appesantiscono la vita di tutti i giorni.

E questo è un impegno sacro che onora, come ci insegna  Bach, “la scintilla divina” che è in ognuna/o di noi.

Il fatto che le donne per millenni siano state soggiogate e svalutate, oltre alla loro intrinseca essenza femminile che, come sappiamo, le rende più affini al concetto di cura e pietas, ci semplifica il compito. L’oppressione annichilisce e devasta, ma può anche  rendere  gli oppressi più resistenti e consapevoli.

Anche per tali ragioni, siamo principalmente noi donne l’avanguardia di questo cammino, siamo noi, come Persefone,  che rechiamo la fiaccola.  Siamo noi che  possiamo contribuire a dissipare l’angoscia e il terrore per l’ineluttabile mortalità umana,  sostituendo alle tenebre una tenace volontà di godere dei piccoli-grandi doni che ogni giorno riceviamo: le foglie d’autunno, la prima rosa, il profumo del pane, l’acqua fresca del mare, la risata di una persona cara, le fusa del gatto, il naso umido dei cani, l’entusiasmo ancora intatto dei bambini… e poi la musica,  un bel libro… e..e…

Proviamoci insieme ne vale la pena.

Un abbraccio circolare a tutte e a tutti voi.

Grazie a  Adriana, Dalila, , Francesca, Luisella, Mimma, Paola, Sonia,  Susanna.

Marisa Raggio        I Fiori e le Dee

 

La figlia selvaggia

La figlia selvaggia

E finalmente Zeus, sempre preoccupato delle ritorsioni violente della moglie, decise, per una volta, di fare la cosa giusta: i suoi due figli, quella coppia bellissima di gemelli, avevano diritto di stare nell’Olimpo, proprio come gli altri dei.

Sì, erano davvero due bambini perfetti, il maschietto biondo e solare e la femmina con quello sguardo fiero.

Così mettendosi la bimba sulle ginocchia per vezzeggiarla, colmo di tenerezza le disse:

“Piccola Artemide, chiedimi qualsiasi cosa e il tuo papà te la darà”

Certo il grande Zeus, signore degli dei e degli uomini, non si sarebbe mai aspettato da quel soldo di cacio una simile risposta:

“Padre, ti chiedo un arco e una faretra piena di frecce…e il permesso di andare ovunque mi vada con le mie amiche e… soprattutto, voglio la libertà, il diritto di non sposarmi!”

Zeus, riconoscendo la determinazione negli occhi di quella ragazzina selvatica, capì che sarebbe stato inutile ogni tentativo di farle cambiare idea e dovette accettare una figlia incorreggibilmente zitella.

Questa storiella, ispirata al mito greco,  fa sempre molto ridere le bambine. Tuttavia, nonostante la semplicità, conserva  in nuce alcuni degli attributi fondamentali della dea Artemide, signora dei luoghi selvaggi, protettrice delle partorienti, che presso i Romani , con il nome di Diana, si fuse sincreticamente con una antica dea italica protettrice dei boschi e degli animali selvatici.  Il principio femminile associato a queste divinità è complesso ed è estremamente attivo in molte coscienze femminili.

Infatti Artemide esercita fascino e grande ammirazione ogni volta che le donne si accostano ai miti che la riguardano. Riflettere sui motivi per cui gode di un così grande prestigio fra le donne moderne, significa aggiungere un pezzo alla conoscenza di noi stesse e della nostra società.

Marisa Raggio

I Fiori e le Dee

Le dee nella rete

Le dee nella rete

Il Web è un “non” luogo curioso.
La diffusione epidemica in rete e sui social della “moda” delle dee, che siano greche, celtiche o di origine più esotica, ha in parte banalizzato una tematica che è complessa e delicata, in quanto pone le sue radici, non solo nella sfera psichica umana, ma anche nel desiderio di sacro che è presente in misura più o meno consapevole in ognuno di noi. Così ci spiegano Abraham Maslow e Stanislav Grof, fondatori della Psicologia Transpersonale, e non ha mai smesso di ricordarci Carl Gustav Jung.
La diffusione di questa “moda” ha d’altra parte anche il merito di avere diffuso nelle coscienze più aperte e curiose concetti che diversamente sarebbero rimasti inaccessibili a molte e molti di noi.
Quando una Idea comincia a circolare è soggetta a modificazioni, contaminazioni, trasformazioni, ma comunque lascia una scia, sia essa oscura o luminosa, nelle coscienze che ha sfiorato.
Ogni donna ed ogni uomo è libero di attingere a questa coscienza collettiva utilizzandola per la propria evoluzione personale, ponendola al servizio degli altri.
Chi come noi ha fiducia nel potenziale umano positivo, partirà dal concetto che anche il risveglio della Dea, come noi amiamo chiamarlo, rappresenti una opportunità, sempre che, chi si avvicina a questa sostanza nouminosa lo faccia con rispetto e l’intento di “fare del proprio meglio”, senza deliri di onnipotenza o finalità manipolatorie.
Marisa Raggio
I Fiori e le Dee

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